Rossella Minotti
MILANO
CI PROVA

, il Pd, e non gli sembra vero: «Vogliamo mettere fine a vent’anni di Lega». Le parole di Giovanni Manildo, candidato sindaco sostenuto dalla civica “Treviso bene comune”, cadono come pietre su un’elezione cruciale per il Carroccio. Nella città dove per anni ha giganteggiato la Lega Nord, la ricandidatura dell’ottantaquattrenne Giancarlo Gentilini, vicesindaco di quel Gian Paolo Gobbo che aveva trionfato alle scorse comunali, era una bella scommessa. E il sindaco sceriffo, così noto dopo alcune oltranziste prese di posizione che lo avevano visto in prima pagina, non ha intenzione di darsi per vinto. Un osso duro, Gentilini. Nel ’97 fece rimuovere le panchine dai giardini davanti la stazione per non vedere gli extracomunitari in giro. Nel 2008 propose di sparare ai gommoni che portavano i clandestini sulle coste italiane. Anche oggi Gentilini, alpino di ferro, non si scompone davanti ai nove punti di svantaggio che lo separano da Manildo (43%): «Se il mio avversario è la sinistra — dice parlando del ballottaggio — credo di essere molto favorito. La maggioranza silenziosa dei cittadini trevigiani non darà mai la città in pasto alle sinistre che appoggiano i centri sociali e il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Treviso sarebbe invasa da extracomunitari clandestini».
Ma la realtà è che il calo di consensi della Lega in Veneto, evidenziato in maniera pesante dalle ultime elezioni politiche, non sembra invertire il suo corso. E il conflitto interno fra Lega veneta e Lombarda potrebbe acuirsi. I consensi persi dal Carroccio sono tanti, e molti in Veneto imputano la crisi all’area lombarda.
Al governatore Luca Zaia non piace la svolta civica voluta da Roberto Maroni, che ha vinto le regionali in Lombardia, e dal suo pupillo Flavio Tosi, diventato sindaco di Verona. Perché se i due hanno stravinto, il crollo dei voti leghisti qui si conferma forte. A Treviso si passa dal 15,4 del 2008 al 7,7% di oggi. A Vicenza i voti scendono dal 15,1 al 4,3. Un panorama nel complesso negativo anche se non inatteso. Gentilini punta il dito contro il calo, vistoso, del Pdl. Ma i malumori interni al Carroccio non sembrano destinati a placarsi, e qualche nostalgia bossiana non è esclusa.