TORINO
SONO
difficili le parole dei giudici, ingannevoli. Durante la sentenza che segna un po’ la sua vittoria sul dolore, Romana Blasotti Pavesi, 84 anni, con molte ragioni presidente dell’Associazione familiari vittime dell’amianto di Casale Monferrato, si sente mancare e quasi sviene sulla panca. Il giudice inanella una sfilza terribile di ‘assolve’ e lei pensa che vada proprio così, che anche l’ultimo responsabile torni a casa con la coscienza pulita. Ricorda tutto.

«L’AMIANTO

volava sopra ogni cosa. Si posava sulle strade, entrava in casa. Non c’era scampo. E uno alla volta se li è presi tutti». Cinque morti, una famiglia deflagrata. «Mario, mio marito, si è ammalato nell’82 e se n’è andato un anno dopo. Venti ne aveva passati all’Eternit a respirare quella polvere. Nel ’90 è mancata mia sorella Libera, poi mio nipote Giorgio. Nel 2003 è toccato alla cugina Anna, che non è di Casale ma di una zona che oggi si trova in Slovenia: una maledizione, anche lì c’era una la fabbrica di amianto. Nell’aprile del 2004 si è ammalata mia figlia Maria Rosa, morta ad agosto, vissuta in quei pochi mesi attaccata all’ossigeno notte e giorno». Assolto chi, allora? Le spiegano con calma: sono fatti riferiti a prima del ’66, la pena è aumentata. E lei si tira su, per quello che riesce: «Sono stravolta dalla stanchezza ma finché posso vado avanti». Attorno lacrime e abbracci, compostezza assoluta. Fuori un po’ meno perché il comitato vittime amianto svizzero ha appeso uno striscione che dice: «Stephan Schmidheiny, Nous vous attendons aussi en Suisse» («Stephan Schmidheiny, la aspettiamo anche in Svizzera»).

IN AULA

mentre aspetta la sentenza il pm Raffaele Guariniello viene colpito al cuore da Piero Condello (nella foto), 67 anni, ex operaio della Eternit di Casale, che gli porta in regalo la sua tuta da lavoro: «Ecco, tenga. Ho sgobbato là dentro dal ’66 all’86 e prima o poi toccherà anche a me. Ma prima le voglio dare questo simbolo. Perché lei è una brava persona e se lo merita». Ha seguito per quattro anni tutte le udienze del processo Eternit, con addosso quella tuta. Malato di asbestosi dal 1987, l’anno dopo la sua andata in pensione, Condello, è diventato a sua volta uno dei simboli di questa lunga vicenda, l’ultimo sopravvissuto del suo reparto. «Due mesi fa i medici mi hanno detto che sto peggiorando — dice allargando le braccia —: ma non mi lamento perché ai miei amici è andata peggio: molti, purtroppo, non ci sono più».
Viviana Ponchia