Viviana Ponchia
TORINO
«UN INNO

alla vita, un sogno che si avvera». Il pm Raffaele Guariniello si commuove sulle ultime battute di quel processo enorme. La Corte d’Appello di Torino conferma la sentenza di primo grado sulle stragi provocate dall’amianto targato Eternit, anzi rincara la dose. Però è un finale strano. A portare il peso delle migliaia di morti per le polveri killer resta solo il manager della multinazionale dell’orrore, lo svizzero Stephan Schmidheiny, 66 anni, che vede salire la condanna per disastro doloso permanente e omissione dolosa di cautele anti-infortunistiche da 16 a 18 anni (l’accusa ne aveva chiesti 20) e 89 milioni di euro alle parti civili. L’altro imputato eccellente, il barone belga Louis De Cartier Marchienne, è uscito definitivamente di scena a 92 anni lo scorso 21 maggio. Il giudice Alberto Oggè dichiara il «non doversi procedere per morte del reo», che in ogni caso non avrebbe commesso il fatto prima del 1966. Tutti i risarcimenti riconosciuti a suo carico in primo grado vengono cancellati. E dal momento che risultava nullatenente, le parti civili rimaste senza giustizia dovrebbero ognuna intentare una causa agli eredi.
Per quanto riguarda Schmidheiny, che non si è mai presentato in aula, oltre a essere riconosciuto colpevole dei disastri provocati dagli stabilimenti di Cavagnolo e Casale Monferrato, dovrà rispondere anche per quelli di Bagnoli e dal 1980 di Rubiera. E alla fine la pena è superiore a quella inflitta in primo grado anche se il periodo delle contestazioni viene ridotto ai fatti successivi al 1977.
Di fatto questa resta una sentenza storica. «La posta in palio — dice Guariniello — è la tutela dell’uomo e della sua salute. Il disastro ambientale doloso non è solo per i lavoratori ma riguarda tutta la popolazione e la sentenza di oggi apre grandi prospettive anche per le vicende di Taranto e per le altre città che aspettano giustizia».

SENTENZA



ricca di luci e ombre, fa notare Nicola Pondrano, vicepresidente dell’Afeva (Associazione dei parenti delle vittime di amianto di Casale Monferrato): «Sono stati neutralizzati i periodi fino al 1976 quando Schmidheiny non era al comando della multinazionale. E poi scompaiono gli anni dell’amministrazione controllata». Soddisfatto invece il Comune di Casale Monferrato, cui la corte accorda un risarcimento di 30,9 milioni di euro. A ogni vittima spettano circa 30mila euro, mentre 20 milioni vanno alla Regione Piemonte che si è costituita parte civile. Scompaiono 276 milioni di risarcimento e Inail e Inps restano tagliate fuori. Da parte della difesa, stupore e indignazione. Per l’avvocato del pool Guido Carlo Alleva «il tema dell’inquinamento da amianto non si decise nelle aule dei tribunali». Il collega Astolfo Di Amato guarda oltre: «Adesso quale imprenditore straniero verrà a investire in Italia?».