ROMA
Francesco vuole depotenziare la Congregazione per la dottrina della fede?
«Più che altro è in atto un riequilibrio della Curia romana nel suo insieme».
Ovvero?
«Nei secoli si sono sviluppate tre funzioni del potere romano: la difesa dell’ortodossia, il ruolo di collegamento fra il Papa e le diocesi, il compito d’interfaccia con i centri politici ed economici della società temporale. Dopo anni di sovraesposizione del ruolo di guardiano della rivelazione, penso che Bergoglio intenda rimescolare un po’ le carte».
Paolo Prodi




(nella foto Ansa), docente emerito di storia moderna all’Alma mater studiorum di Bologna, conosce vizi e virtù del Vaticano. Li ha raccontati con precisione in decine di libri, non soltanto per addetti ai lavori. Interpellato sulla veridicità delle affermazioni di Bergoglio sull’ex Sant’Uffizio, il professore non ha dubbi, anche se invita a esaminarele nel giusto contesto.
Francesco vuole rilanciare il ruolo, un po’ offuscato negli ultimi tempi, della Curia come tramite tra il Papa e gli episcopati nazionali?
«Credo che non ci siano dubbi a riguardo. Non è un caso che sin dal primo momento Francesco abbia deciso di definirsi vescovo di Roma e non Papa, come a voler valorizzare il ruolo delle singole diocesi».
È a rischio anche la funzione del segretario di Stato?



«Fino ad oggi la Chiesa ha vissuto questa carica come se si trattasse di una sorte di vice Papa. In questa veste, con un accentramento così forte di potere, non ha più senso. Anche la dizione stessa di segretario di Stato, in un mondo globalizzato e non più segnato semplicemente dagli Stati nazionali, va rivista».
Ma qual è la prima riforma vera all’orizzonte per Bergoglio?

«Il nodo resta lo Ior. Da sempre dei banchieri hanno gestito la raccolta delle decime e delle donazioni alla Chiesa. Per questo non credo che Bergoglio chiuderà l’istituto. Farà, invece, come a Buenos Aires».
Là si sbarazzò delle partecipazioni diocesane nel capitale di alcune banche.

«Lo Ior diventerà una banca esterna, non più del Vaticano».
g. p.