Lorenzo Bianchi
È SEMPRE
stato un faro nel mondo arabo e musulmano l’Egitto. Nella primavera araba è arrivato secondo dopo la Tunisia. Mubarak, il dominatore di quasi trenta anni, è stato costretto ad andarsene in 18 giorni. La rivoluzione è sfociata in un golpe. Massimo Campanini, 59 anni, autore de «I sunniti», pubblicato dal Mulino, e ora docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Trento è convinto che l’intervento dei militari sia la spia più evidente della «messa in discussione del ruolo dell’Islam politico e moderato nella stagione della primavera araba, di una difficoltà di gestire il potere e in particolare di portare avanti il progetto riformista». «Riguarda — osserva — anche Ennadha in Tunisia. Anche lì avanzano forze non islamiste e militari. Circolano voci di un possibile putch. Per ora, si badi bene, sono solo voci assolutamente non verificate. Ma sono sintomi di difficoltà». Campanini mette in rilievo la profonda differenza fra l’islam politico e i religiosi che predicano una riforma della religione musulmana: «Penso ad Abessalam Yassin in Marocco e a Youssuf Qaradawi in Qatar. Loro propongono stanno elaborando la daula madaniya, un concetto di stato non teocratico e di diritto e di società civile. Non saranno toccati dal fallimento dell’islam politico».

DIVERSO

è il discorso dei Fratelli Musulmani in Egitto. «Io — argomenta — non ho mai creduto alla convergenza fra l’esercito e la Confraternita. I militari semplicemente hanno saldato i conti e tentato di salvare il loro ruolo nella società e i loro privilegi. Comunque l’opposizione che prevale con i cannoni e i carri armati non dà un segno di maturità democratica. Questo non vuol dire che gli islamici non abbiano commesso errori, primo fra tutti quello di chiudere il dialogo con chi non si identifica con il loro progetto e il tentativo di imporre una svolta autoritaria. Morsi però non ha avuto neppure il tempo di dimostrare che era capace di governare. È durato un solo anno. I militari lasceranno tornare al potere i civili, ma hanno imposto una forte ipoteca anche sul governo che verrà dopo le elezioni».

L’ORIENTALISTA

è convinto che il fallimento dei Fratelli Musulmani aprirà spazi ai salafiti, «sostenitori di un islam puro e duro, assolutamente contrario ai compromessi». Per Giulio Soravia, docente di lingua e letteratura araba all’Ateneo di Bologna, la «popolazione egiziana ha dato il segno di una grande maturità politica. Il voto l’aveva presa in contropiede. I Fratelli Musulmani avevano preso solo il 25 per cento dei suffragi, calcolando la bassa affluenza alle urne». «L’Egitto — conclude — semplicemente ha ribadito che non vuole gli estremisti. Ma è troppo presto per azzardare conclusioni sui possibili sviluppi».