Iacopo Scaramuzzi
CITTÀ DEL VATICANO
LA FEDE

non è «fiaba» o pura teoria, ma, per i cristiani e per chi cerca Dio, fondamento della propria vita in famiglia e nella società, nei rapporti umani e in quello con l’ambiente, quando c’è di mezzo la razionalità e quando è coinvolto l’amore. È questa la tesi di fondo della enciclica «Lumen fidei» di Papa Francesco.
La prima lettera di un pontificato viene solitamente scrutata per capire le idee e i progetti di un nuovo Papa. Questa volta non è così. Dopo solo tre mesi, del Papa argentino si sa già molto, attraverso i suoi gesti e le sue parole. Per la prima volta nella storia della Chiesa, inoltre il testo è frutto della collaborazione con un altro Papa, Benedetto XVI. Lo stesso Jorge Mario Bergoglio l’ha definita una enciclica «a quattro mani», poiché al momento di dimettersi, Benedetto XVI «aveva già quasi completato una prima stesura» e il Papa argentino ne ha assunto «il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi». Il tema d’altronde – la fede – non è di quegli argomenti che mutano col cambiare delle epoche. E comunque a Francesco interessa sottolineare il profondo legame con il Papa tedesco. Diversissimi per carattere, formazione e cultura, Bergoglio non sarebbe stato eletto senza le dimissioni di Ratzinger. Lasciando, Benedetto XVI ha dato uno schiaffo alla Curia. Francesco, ora, si accinge a riformarla. Non a caso ieri mattina il Papa e l’emerito hanno presieduto insieme una cerimonia nei giardini vaticani. Non a caso, consacrando il piccolo Stato pontificio a San Giuseppe, ha usato parole severe: «Rendici vittoriosi contro le tentazioni del potere, della ricchezza e della sensualità, sii tu il baluardo contro ogni macchinazione, che minaccia la serenità della Chiesa».
AL DI LÀ

di questa unità di intenti, non è impossibile distinguere brani più «ratzingeriani» e passaggi più «bergogliani». In buona parte del testo risuona il linguaggio e il ragionamento di Benedetto XVI: quando si citano Wittgenstein e Sant’Agostino, quando si mette in luce la ragionevolezza della fede e si spiega che il credente «non è arrogante», quando si denuncia che oggi si guarda con sospetto alla «verità» perché la si associa erroneamente alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo, un fatto che comporta però il «grande oblio del mondo contemporaneo» a vantaggio del relativismo. L’ultima parte sembra riecheggiare maggiormente le prediche del Papa regnante. La fede, si legge, illumina tutti gli ambiti della vita, a partire dalla famiglia, «unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio». Nessuna scomunica, nessun accenno alle nozze gay, ma il messaggio è chiaro. La luce della fede – prosegue l’enciclica – «si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace». La fede, inoltre, aiuta a rispettare la natura, a «trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità o sul profitto». Da qui un invito: «Non facciamoci rubare la speranza».