Davide Nitrosi
CASTELFRANCO EMILIA (Modena)
DURARE è un verbo neo doroteo, va rottamato anche quello. Fare, ecco la voce del verbo da usare. Letta quindi non pensi a durare, ma a fare. E il Pd non non si avviti in eterni conclavi con la realtà chiusa fuori a doppia mandata. Il partito non faccia lo schizzinoso se ci sono da prendere i voti dei delusi del Pdl. Sarà che Renzi ne sa qualcosa, li ha visti da vicino i dorotei quando indossava i calzoncini da scout, e il vaccino è servito. Ma il messaggio del giorno in cui rompe il silenzio è chiarissimo: basta piagnistei, a Palazzo Chigi come nel Pd.

LE CANTA chiare: «Caro presidente del consiglio, vai avanti a fai quello per cui sei stato votato, ma se non sei in grado non cercare alibi in chi sta fuori dal Parlamento». Gli dicevano che ogni parola logorava Letta. Ma la voce del verbo logorare è come il verbo durare. Va rottamata insieme all’incubo Berlusconi e alle regole delle primarie. «Il governo non deve usare la voce del verbo durare, riflesso neo doroteo — strappa applausi da una platea elettrizzata —, il governo deve fare. Noi incoraggiamo Letta, siamo perché lui possa realizzare le riforme che servono a noi». Né falco, né colomba. Semmai grillo parlante. «Quagliariello ha detto che i falchi hanno un disegno per mandare a casa il governo. Per me Quagliariello non è un'aquila. Il governo per me può durare anche fino al 2018. Ma non posso accettare che si indichi come nemico chi ti dice in faccia le cose».
E poi c’è il segretario Epifani. Come non scordarlo. «Non passiamo il tempo a pensare come cambiare le regole delle primarie, ma a pensare come cambiare l’Italia. C’è un crisi occupazionale senza precedenti. Parliamo di questo o delle primarie socchiuse?». La crisi non è solo discutere su Imu e Iva, per Renzi. È anche l’occasione per risparmiare. Vale anche per la bocca ingorda dei partiti. Quel voto rinviato sul finanziamento pubblico è indigesto per Renzi («Un clamoroso autogol»), che pure, ricorda, nel ‘93 votò contro l’abolizione al referendum. «Il Pd ha un bilancio di 45 milioni: 8,9 vanno in comunicazione e propaganda, 2,4 in consulenze, 1,4 in trasferte e hotel. Ai territori vanno solo 9 milioni...». E quindi: «Epifani, fissiamo questa benedetta data del congresso». A sentire Renzi, è la grande occasione dei democratici perché il Pdl è alle prese con il futuro di Silvio, mentre «Grillo canta per i fatti suoi» ed è il «principale sponsor delle larghe intese». «Mi hanno detto: tu stai nell’angolino, fai fare a noi, così alle elezioni ti candidiamo e prendiamo i voti. No, ho detto. So di non essere un fico, ma posso neppure fare la foglia».
Vent’anni fa da queste parti, Luciano Ligabue cantava non è tempo per noi. Renzi parte da Liga per voltare pagina e dire che quel tempo lui ora lo vuole prendere. Con un programma che riassume in cinque E: educazione, energia, equità, Europa ed entusiasmo. Cita Jeff Bezoz, il fondatore di Amazon che si è comprato il Washington Post, e incita a non avere paura di sperimentare. «Il Pd non può stare insieme perché di là c’è una minaccia. Finite le primarie siamo tornati a parlare di lui, il nostro motto è diventato lo smacchiamo. L’Italia aspettava da noi una speranza, non un nemico. Almeno il congresso del Pd possiamo farlo senza di lui?».
Ma c’è la sentenza, aleggia la domanda come una vocina... «Capisco Bondi, Brunetta, Schifani, la Santanchè che sono animati da affetto profondo — gigioneggia Renzi —, sull’amore non si scherza. Il compito del Pd però è salvare l’Italia. Le sentenze si rispettano e la legge è uguale per tutti». Infine, come un Veltroni d’antan, la poesia. Alda Merini: «Non mettermi accanto a chi si lamenta, senza mai alzare lo sguardo. Io chiudo gli occhi, sono altro, sono altrove».