Roma, 13 agosto 2013 - Ore decisive sulla questione della grazia. Un chiarimento da parte di Napolitano è nell’aria: potrebbe arrivare sotto forma di un responso pubblico tra oggi e domani. Per questo, il Cavaliere ha riunito ieri ad Arcore i suoi avvocati. Assieme a Coppi, Ghedini e Gianni Letta (c’è chi continua a dare per possibile un faccia a faccia di quest’ultimo con il capo dello Stato proprio la vigilia di Ferragosto) ha cercato di sviscerare tutte le ipotesi. Chi ha potuto parlare con lui, in serata, lo descrive piuttosto giù di corda. Consapevole che il provvedimento di clemenza — seppure venisse concesso — non risolverebbe tutti i suoi guai. Ecco perché non è sicuro che lui voglia sollecitare questo atto. I legali, Letta e i moderati Pdl lo spingono a farlo, gira voce che Coppi & co. sarebbero pronti a firmare la domanda di grazia, ma lui non ha deciso. Aspetta di sentire quanto dirà il capo dello Stato ma, giurano i falchi, non si aspetta poi molto. «Non mi sono mai venuti incontro — il ragionamento — Non capisco proprio perché dovrebbero farlo adesso».

Ciò che sta più a cuore al Cavaliere non è tanto la questione della pena da scontare: in base al decreto svuotacarceri i mesi da passare agli arresti domiciliari o ai servizi sociali sono nove, perché tre vengono cancellati dal provvedimento. Lo preoccupa l’espulsione dal Parlamento senza aver la garanzia che, il giorno dopo, qualsiasi Procura potrebbe emettere un mandato di cattura nei suoi confronti. Ecco perché si guarda bene dal giocare «ora» la carta delle dimissioni da senatore in assenza di un salvacondotto che lo metta al riparo «dalle Procure nemiche». Ed ecco anche perchè segue con interesse il dibattito sulla decadenza da parlamentare e l’incandidabilità alle elezioni su cui si accapigliano gli addetti ai lavori. Sì, perché mentre a sinistra si sostiene che — a prescindere dal voto della giunta del Senato — il Cavaliere non può essere candidato in base alla legge anticorruzione Severino-Monti perché condannato a più di due anni di reclusione (poi è intervenuto l’indulto), il centrodestra non la pensa così. Sisto avanza obiezioni sulla retroattività della normativa: «Non vedo differenze in questo caso fra sanzione penale e amministrativa. I fatti contestati sono avvenuti prima del varo della legge, che non è applicabile». Nitto Palma afferma che, in caso di scioglimento delle Camere, sull’ammissibilità della candidatura di Berlusconi giudicherebbe la Corte d’Appello e poi «si potrebbe presentare ricorso al Tar». Netto Calderoli: «Il Cavaliere potrà candidarsi a deputato e solo la Camera potrà giudicare sulla sua ammissione, ovvero sulla sua ineleggibilità o incompatibilità».

In questo clima di incertezza, inizia a farsi strada nel partito il nodo di un futuro senza il Cavaliere. Se i falchi puntano sulla rinascita di Forza Italia e hanno in agenda una «manifestazione a Milano a settembre», le colombe non disdegnano soluzioni più ariose, come quella prospettata da Casini, di una riunione dei moderati nel nome del Ppe. «Nessuno — dice un ex ministro — si sbilancia per non essere accusato di tradimento».

Antonella Coppari