LONGARONE (Belluno)

RENZO MARTINELLI, regista di ‘Vajont’. Che sentimento coglie oggi nella gente?
«C’è tanta rabbia. Quello che è accaduto qui, supera ogni capacità di sopportazione umana. Ci sono persone che hanno perso di colpo venti, trenta cari. Ma non è solo questo. Intere comunità sono state cancellate. Una tragedia dalle dimensioni impensabili. Penso a Longarone. Dopo, non esisteva più niente. Nessun punto di riferimento, nemmeno i ricordi».

In tanti ripetono: lo Stato deve ancora chiedere scusa.
«Basterebbe poco. Basterebbe che il presidente della Repubblica venisse qui, com’è andato a Porzus. Sarebbe un gesto molto importante, sicuramente pacificatore. Queste persone sono state umiliate e abbandonate».

Dodici anni fa il film, oggi sta lavorando sul dopo Vajont.
«Ci stiamo provando. Con molta fatica perché in questo Paese fare progetti di impegno civile è un’impresa sempre molto complicata. Ma ce la faremo. è giusto raccontare agli italiani l’inferno sofferto da questa gente negli anni. Uno pensa che tutto si esaurisca con la strage. Non è così. L’inferno è cominciato dopo».

Lei è qui nei giorni dell’anniversario. Al cimitero, nella domenica dei superstiti, l’hanno fermata per ringraziarla. È rimasto legato a questa terra.
«Per me è un appuntamento fisso, tutti gli anni. All’inizio sono stato accolto con aperta ostilità. Ma poi quando ci hanno visto lavorare venti ore al giorno, l’ostilità si è trasformata in affetto straordinario. Avevo affittato una casetta, ricordo che uscendo la mattina trovavo di tutto, formaggi, salami, verdure».

Intanto c’è un progetto nuovo, sulla diga del Vajont. Privati e Comuni insieme, si pensa a una centralina idroelettrica.
«Mah... Quello è un cimitero a cielo aperto e va lasciato così. Rimettere in moto le turbine? No. Fine. Basta. Rispetto nei secoli».

Rita Bartolomei