Giovanni Serafini
«DOVREMMO
imparare dagli antichi romani, che furono i primi ad accettare gli immigrati e a favorirne l’integrazione. Dovremmo imitare il loro intelligente pragmatismo: fu concedendo la cittadinanza a coloro che all’epoca venivano definiti i ‘barbari’, che i romani riuscirono consolidarono il loro impero duemila anni fa». Parla lo storico Jacques Le Goff, caposcuola degli Annales, ‘grande vecchio’ della cultura francese ed europea. A 89 anni è sempre lucido, attentissimo all’attualità, freddo nel giudizio, ma non per questo impermeabile all’emozione.
Ha visto le immagini della tragedia di Lampedusa?
«Ho vissuto come se fossi lì questo dramma gigantesco. E la mia prima reazione è un senso di commossa riconoscenza per la generosità straordinaria dimostrata dall’Italia. Siete un popolo che amo molto. L’Europa dovrebbe fare a gara per portarvi aiuto».
Quali sono le sue considerazioni in quanto storico?
«Nella nostra storia millenaria le migrazioni sono state cicliche. Abbiamo conosciuto esodi di popolazioni intere che fuggivano il pericolo, la fame, le carestie, le guerre. E ogni volta l’umanità si è mostrata incapace non solo di risolvere il problema, ma anche semplicemente di prenderlo in esame. Ci si è sempre chiusi dietro presunte trincee invalicabili, che poi sono state abbattute dalla pressione degli eventi. L’unica eccezione che conosciamo fu quella dell’antica Roma, che diede prova di accortezza politica e capacità organizzativa: invece di massacrare i ‘barbari’ li assorbì, li utilizzò ai propri fini, arrivando perfino a concedere la ‘civitas romana’ a molti di loro. C’è un caso celebre: quello dell’apostolo Paolo, un ebreo ellenizzato nato in Palestina divenuto subito cittadino romano. C’è da dire che anche il cristianesimo rappresentò un elemento di aggregazione, che costituì poi il principale fondamento ideologico dell’Europa».
L’umanità in 2mila anni non ha imparato niente?
«Proprio così. La storia procede con diverse velocità. Ci sono settori in cui avanza in fretta, altri in cui arranca un po’, altri in cui non avanza affatto. Quest’ultimo è il caso dell’immigrazione: si tratta di un problema che potrà essere risolto solo attraverso un’intesa plurinazionale. Il che non sarà facile».
Lei cosa proporrebbe?
«Bisogna che l’Europa sia unita e parli con una sola voce. Il dossier deve essere affidato a Bruxelles affinché si arrivi a un’azione comune e sufficientemente finanziata. Ci sono problemi tecnici relativi ai trasporti, problemi diplomatici, problemi pratici che riguardano la natura e il limite dei soccorsi: non dobbiamo creare false speranze, facendo credere che tutti possano venire in Europa. Nel frattempo è urgente che gli Stati europei aiutino l’Italia, il paese che per motivi geografici è più esposto e subisce la massima pressione».
Perché oggi non c’è l’apertura pragmatica dimostrata dagli antichi romani?
«La divisione in nazioni implica sfortunatamente il moltiplicarsi degli egoismi nazionali. In più c’è la crisi economica, che spegne gli slanci di solidarietà. Ma bisogna invertire la rotta. L’Europa deve dimostrare al mondo di avere un’anima, di essere capace di aiutare chi è in difficoltà. E sarebbe meraviglioso che il primo gesto della solidarietà europea si indirizzasse a extraeuropei».