ROMA
MENTRE
alla Camera Renato Brunetta dava fuoco alle polveri della maggioranza, a palazzo Grazioli Silvio Berlusconi alternava incontri e telefonate con i dirigenti pidiellini. Ancora scioccato per il rinvio a giudizio napoletano, a tutti ha detto: «Ora basta, mi sono rotto: domani dovrà essere chiaro chi è con me e chi è contro di me». Per le cinque della sera, di questa sera, ha dunque convocato l’Ufficio di presidenza del partito con in mente uno sbocco inesorabile: il ritorno ufficiale a Forza Italia. Cioè l’azzeramento di tutte le cariche, segretario compreso, e un unico presidente: lui. Panico tra le colombe, hurrà dei falchi: «Tutti uniti attorno a Berlusconi», proclama Fitto. Alfano oscilla. Non sa che fare. Per la prima volta sono stati convocati solo coloro che hanno formalmente diritto di voto. Dunque nessun ministro, a parte Alfano. Fuori anche Cicchitto e Gasparri, che all’unisono con Matteoli dice: «Sarà dura, speriamo di riuscire a rimanere uniti».
Fatti i conti, gli alfaniani saranno meno di un quarto. Ma non tutti danno per scontato lo
show down. «Ad ora — dice Luca D’Alessandro, molto vicino a Verdini — tutto è possibile, non è detto si vada a una rottura. Non subito, almeno». Anche perché il Consiglio nazionale viene ipotizzato l’8 dicembre, giorno delle primarie democratiche: un modo per non lasciare campo libero a Renzi e al Pd.

GIORNATA DIFFICILE

, quella di ieri, non solo per il Pdl ma anche per la maggioranza. Giornata caratterizzata dall’iperattivismo di Renato Brunetta, che prima ha minacciato di impallinare la riforma della Pubblica amministrazione e poi ha annunciato «guerriglia parlamentare» se la Bindi non si dimetterà da presidente della commissione Antimafia. Tutto è cominciato durante la riunione dei capigruppo della Camera. A nome del governo, il ministro Franceschini annuncia l’intenzione di non porre la fiducia alla conversione del decreto sulla pubblica amministrazione, quando Brunetta sbotta: «Per noi, il decreto può anche decadere. Tanto è una controriforma che ha smontato tutto quello che avevo fatto di buono io quand’ero ministro». Franceschini, d’accordo con Letta («sono pronto ad andare alla conta»), sospetta si tratti di una battaglia personale, ma dopo il precedente del giorno prima sulle riforme, si corregge: «La fiducia sarà necessaria». Qui le versioni divergono. Secondo fonti del governo Brunetta è stato messo in minoranza dai suoi stessi parlamentari, secondo l’entourage del capogruppo nulla di simile è mai accaduto. Certo è che alla fine il Pdl ha deciso di votare sì al decreto della Pubblica amministrazione che, in serata, è poi passato alla Camera (208 a favore, 11 no e 76 astenuti). Brunetta ha comunque messo sul piatto il caso dell’Antimafia: «O Rosy Bindi lascia la presidenza o sarà guerriglia su tutto».
r. r.