MILANO
LA RISCOPERTA
del fuoco. Un po’ per la bolletta, un po’ per l’ambiente gli italiani si stanno riscoprendo novelli Prometeo. Da qualche anno camini e stufe a legna si sono accesi anche in città. Il primo boom delle stufe a legna è del 2006: la miccia fu accesa dall’impennata dei prezzi di gasolio e metano. E sempre sette anni fa c’è stato anche il grande salto del pellet, arrivato in Italia alla fine degli anni Novanta, ma fino ad allora poco utilizzato. Oggi, secondo i dati dell’Aiel (Associazione italiana energie agroforestali), si vendono 2 milioni di tonnellate di questi cilindretti di segatura pressata ed essiccata (un quarto prodotti in Italia) e oltre 16 milioni di tonnellate di legna e cippato (trucioli e scarti di legno) da ardere. Il pellet e gli enormi progressi tecnologici delle stufe di cui siamo primi produttori e consumatori europei (con un parco nazionale-stufe che si aggira sui due milioni di unità, destinate a salire a 3,6 milioni nel 2020) e delle caldaie (17.000 oggi e almeno 30mila sempre nel 2020) ha spinto il ritorno al legno.

LE MODERNE

stufe e impianti (anche per riscaldare l’acqua calda e farla girare nei caloriferi o diffondere il calore nell’aria) a pellet partono con l’accensione elettronica e si caricano automaticamente comprando il pellet in sacchetti da 15 chili ma il 10% viaggia in autobotti che riforniscono (come avviene con il gasolio) le caldaie degli edifici più grandi. Le stufe a pellet costano dai 1.000 ai 4.000 euro e possono godere di sgravi fiscali. E l’efficienza energetica delle moderne stufe e caldaie consente anche risparmi dal 20-30 fino al 50-60% sulla bolletta.

NELLA TABELLA

qui a fianco i calcoli del Gad (Gruppo apparecchi domestici) di Aiel mettono a confronto i costi delle diverse energie. Dallo scorso anno il mercato dei combustibili è fortemente rincarato.
I dati del Gad del giugno 2012 (da confrontare con quelli in tabella) dicevano che si spendevano 175 euro per produrre un Mwh (megawattora) di calore con il Gpl, 112 con il gasolio, 73 con il metano, 50 con i sacchi di pellet e 41 con il pellet sfuso per scendere a 37 euro con la legna da ardere e a 30,5 con il cippato. I rincari medi sono stati dal 20 al 30%.
Oggi comunque su una spesa media di circa 1.800-2.200 euro per riscaldare un appartamento di 100-120 metri quedrati al Centro Nord Italia, con il pellet si risparmiano 300-400 euro rispetto al metano e con la legna 500-600 euro. Ciò significa che in tre-quattro anni si può rientrare dall’investimento, tenendo conto che mediamente una buona stufa costa sui 2.000-2.500 euro. E che le detrazioni fiscali abbattono il costo dell’impianto del 50 o del 65%, anche se il rimborso avviene in dieci rate annuali.
Un ulteriore contributo viene dal cosiddetto ‘Conto Energia Termico’ (non cumulabile con le altre detrazioni) che prevede un contributo in denaro per l’acquisto di stufe, termocamini e caldaie a biomassa che rispondano a particolari requisiti e che siano installate in sostituzione di alcune tipologie di impianti di riscaldamento già esistenti. Non è una detrazione fiscale ma un incentivo erogato direttamente dal Gse in due anni (per stufe, termocamini, o caldaie fino a 35 kw) o in cinque anni (per caldaie sopra i 35 kw).
Il meccanismo del conto è complesso. Ma facciamo un esempio:per stufa a pellet da 22 kw (costo indicativo 4 mila euro), l’incentivo consisterebbe in quasi 1.400 euro.
Se invece il riscaldamento a pellet o legna va a sostituire quello a Gpl o gasolio i risparmi sono tripli o doppi.
Paolo Liverani