Andrea Cangini
ROMA
CÈ STATO un tempo in cui i giovani più ambiziosi del Pds, dei Ds e persino quelli del Pd si contendevano letichetta di dalemiano: facevano le poste a DAlema, pendevano dalle labbra di DAlema, sognavano che la mano di DAlema si poggiasse sulla loro spalla e, al pari di Folena e tanti altri, di DAlema imitavano persino linconfondibile eloquio. Con effetti grotteschi, certo, ma inconsapevoli. Ecco, quei tempi sono finiti.
«Nessuno glielo dirà mai, anche perché lo fa a fin di bene, ma è chiaro che se continua a occupare le televisioni attaccando Renzi ci danneggia», ammette un ex giovane ed ex dalemiano oggi schieratissimo a favore di Gianni Cuperlo. E persino nello staff del candidato, ex dalemiano anchegli, non si nega che il problema esista.
Lo riassumono così: avere Massimo DAlema come principale e battagliero sponsor in epoca di rinnovamento ad oltranza, di giovanilismo imperante e soprattutto dovendosela vedere con Renzi e la sua retorica della rottamazione non è un vantaggio ma un handicap.
«Posto che sponsor imbarazzanti li ha anche Renzi, ammetto che la presenza di DAlema è oggettivamente ingombrante»: così parla Cesare Damiano, in questi giorni pancia a terra al fianco di Cuperlo. E lo stesso Cuperlo non fa nulla per smentire la tesi del DAlema renziano involontario. Anzi. Ieri il direttore (renziano volontario) di Europa, Stefano Menichini, ha fatto due tweet a quadruplo taglio: «La cosa antipatica di DAlema ha scritto è descrivere i voti per Gianni Cuperlo come voti di resistenza. È immeritato, riduttivo, minoritario»; «Insisto, Gianni Cuperlo non merita tutto ciò, lui non centra con questa ossessione crepuscolare».
Risposta, laconica e rassegnata, di Cuperlo: «Sono daccordo».
Chiesto, «per carità umana», lanonimato, un ex lothar (quel manipolo di brillanti e pelati spin doctor che lo spalleggiarono ai tempi gloriosi di palazzo Chigi) ieri ha seguito il gagliardo intervento di DAlema ad Agorà e non si capacita della «china grottesca, pietosa e autolesionista imboccata» dal lìder Massimo.
Anche Peppino Caldarola, lex direttore dalemiano dellUnità che con DAlema ha recentemente scritto un libro, non si capacita. «È incredibile dice mosso da reale stupore vedere un politico accorto come lui rifiutare la realtà. Non percepisce la spinta al cambiamento, infatti era convinto che Cuperlo avrebbe vinto tra i militanti. E dando di democristiano sia a Letta sia a Renzi disconosce il governo e rinnega lo spirito per cui il Pd nacque, chiudendosi in una trincea minoritaria in nome della diversità antropologica della sinistra». Un suicidio, insomma. Secondo Damiano, che dalemiano non è mai stato, lo fa «spinto da un istinto primario tipico dei veri politici: quello al combattimento».
E, conoscendo DAlema, pare unottima chiave di lettura. Ma Caldarola la nega, ed è proprio questo che lo sconcerta.
«Non cè nulla di politico nel suo comportamento e non cè nulla della sua storia personale: il DAlema di successo era quello che trattava anche col diavolo. Ma il DAlema realista, e perciò togliattiano, è improvvisamente scomparso. Non lo riconosco più: DAlema non assomiglia più a DAlema, assomiglia a Bertinotti».
Cè stato un tempo in cui avere Massimo DAlema come sponsor portava dritti al successo. Era il tempo in cui la Politica le sue regole, il suo linguaggio aveva ancora una certa forza e un barlume di dignità. Ma quel tempo è passato e farsene una ragione, evidentemente, non è facile.
ROMA
CÈ STATO un tempo in cui i giovani più ambiziosi del Pds, dei Ds e persino quelli del Pd si contendevano letichetta di dalemiano: facevano le poste a DAlema, pendevano dalle labbra di DAlema, sognavano che la mano di DAlema si poggiasse sulla loro spalla e, al pari di Folena e tanti altri, di DAlema imitavano persino linconfondibile eloquio. Con effetti grotteschi, certo, ma inconsapevoli. Ecco, quei tempi sono finiti.
«Nessuno glielo dirà mai, anche perché lo fa a fin di bene, ma è chiaro che se continua a occupare le televisioni attaccando Renzi ci danneggia», ammette un ex giovane ed ex dalemiano oggi schieratissimo a favore di Gianni Cuperlo. E persino nello staff del candidato, ex dalemiano anchegli, non si nega che il problema esista.
Lo riassumono così: avere Massimo DAlema come principale e battagliero sponsor in epoca di rinnovamento ad oltranza, di giovanilismo imperante e soprattutto dovendosela vedere con Renzi e la sua retorica della rottamazione non è un vantaggio ma un handicap.
«Posto che sponsor imbarazzanti li ha anche Renzi, ammetto che la presenza di DAlema è oggettivamente ingombrante»: così parla Cesare Damiano, in questi giorni pancia a terra al fianco di Cuperlo. E lo stesso Cuperlo non fa nulla per smentire la tesi del DAlema renziano involontario. Anzi. Ieri il direttore (renziano volontario) di Europa, Stefano Menichini, ha fatto due tweet a quadruplo taglio: «La cosa antipatica di DAlema ha scritto è descrivere i voti per Gianni Cuperlo come voti di resistenza. È immeritato, riduttivo, minoritario»; «Insisto, Gianni Cuperlo non merita tutto ciò, lui non centra con questa ossessione crepuscolare».
Risposta, laconica e rassegnata, di Cuperlo: «Sono daccordo».
Chiesto, «per carità umana», lanonimato, un ex lothar (quel manipolo di brillanti e pelati spin doctor che lo spalleggiarono ai tempi gloriosi di palazzo Chigi) ieri ha seguito il gagliardo intervento di DAlema ad Agorà e non si capacita della «china grottesca, pietosa e autolesionista imboccata» dal lìder Massimo.
Anche Peppino Caldarola, lex direttore dalemiano dellUnità che con DAlema ha recentemente scritto un libro, non si capacita. «È incredibile dice mosso da reale stupore vedere un politico accorto come lui rifiutare la realtà. Non percepisce la spinta al cambiamento, infatti era convinto che Cuperlo avrebbe vinto tra i militanti. E dando di democristiano sia a Letta sia a Renzi disconosce il governo e rinnega lo spirito per cui il Pd nacque, chiudendosi in una trincea minoritaria in nome della diversità antropologica della sinistra». Un suicidio, insomma. Secondo Damiano, che dalemiano non è mai stato, lo fa «spinto da un istinto primario tipico dei veri politici: quello al combattimento».
E, conoscendo DAlema, pare unottima chiave di lettura. Ma Caldarola la nega, ed è proprio questo che lo sconcerta.
«Non cè nulla di politico nel suo comportamento e non cè nulla della sua storia personale: il DAlema di successo era quello che trattava anche col diavolo. Ma il DAlema realista, e perciò togliattiano, è improvvisamente scomparso. Non lo riconosco più: DAlema non assomiglia più a DAlema, assomiglia a Bertinotti».
Cè stato un tempo in cui avere Massimo DAlema come sponsor portava dritti al successo. Era il tempo in cui la Politica le sue regole, il suo linguaggio aveva ancora una certa forza e un barlume di dignità. Ma quel tempo è passato e farsene una ragione, evidentemente, non è facile.
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