JOHANNESBURG
UN GESTO
che diventa il simbolo di un intera cerimonia. Barack Obama, nel giorno in cui a Johannesburg si celebra la grandezza di Nelson Mandela e il suo messaggio di riconciliazione, ha teso la mano al leader di Cuba, Raul Castro, fratello di Fidel.
È la prima stretta di mano tra un presidente Usa e uno cubano da oltre mezzo secolo, da quando nel 1961 le relazioni diplomatiche tra i due Paesi si sono interrotte (non è mai stata confermata una stretta di mano tra Fidel e Bill Clinton nel 2000 all’Onu). Certo, è presto per parlare di disgelo. Raul Castro era accanto alla presidente del Brasile, Dilma Rousseff. Obama non poteva andare a salutare quest’ultima senza passare davanti al fratello di Fidel. Difficile non tendere la mano, dunque. Infatti la Casa Bianca in serata fa sapere: la stretta di mano «non era pianificata». «Il presidente non ha considerato questo evento come un luogo in cui fare politica», dichiara il consigliere di Obama, Ben Rhodes. Cuba invece ha enfatizzato la cosa: «Potrebbe essere l’inizio della fine delle aggressioni degli Stati Uniti contro Cuba», scrive il sito del governo cubano Cubadebate.cu. Negli Usa, la destra repubblicana è furiosa: «Ha stretto mani insanguinate», dice la senatrice Ileana Ros-Lehtinen, e uno dei ‘saggi’ del Grand Old Party, l’ex candidato alla presidenza John McCain, fa un parallelo con la stretta di mano tra Chamberlain e Hitler.
Il gesto ha segnato il tributo dedicato alla memoria di Mandela nello stadio di Soweto, la Township di Johannesburg. In almeno 60mila hanno salutato Madiba nonostante la pioggia battente, e fra questi un centinaio di capi di Stato e di governo, oltre a numerose altre personalità, tra cui tre ex presidenti americani: Bill Clinton, George W. Bush e Jimmy Carter. C’erano l’indiana Sonia Gandhi, il vicepremier cinese Li Yuanchao, e star come Bono e Naomi Campbell. Fischi hanno invece interrotto più volte il presidente sudafricano Jacob Zuma, contestato per gli scandali del suo mandato.

OBAMA



è stato acclamato anche come simbolo della lotta contro la discriminazione razziale. «C’è voluto un uomo come Madiba per liberare non solo il prigioniero, ma il carceriere — ha detto — per dimostrare che ci si può fidare degli altri in modo che gli altri possano fidarsi di noi; per insegnare che riconciliazione non è solo ignorare un passato crudele, ma uno strumento per affrontarlo con inclusione, generosità e verità».
Fra canti, danze e cori tradizionali, la folla è stata rumorosa, finché l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, grande amico di Mandela e anch’egli Nobel per la Pace, ha zittito tutti: «Non vi darò la mia benedizione finché non farete silenzio», ha gridato. Tutu ha tenuto parte del discorso in Afrikaans, la lingua degli ex-oppressori boeri. Un modo di tramandare, ancora una volta, lo spirito di riconciliazione voluto da Mandela.
Andrea Fontana