dall’inviato Matteo Naccari

Strasburgo, 13 dicembre 2013 - Praticamente solo. Nel mezzo di un’arena che può contenere quasi un migliaio di persone, il cuore pulsante di uno dei simboli dell’Europa unita. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, l’uomo che ha salvato l’euro dal disastro, è quasi passato inosservato ieri mattina a Strasburgo, dove era ospite del pachidermico parlamento europeo. Seduto in prima fila al centro dell’avveniristico emiciclo, che però solo per quattro giorni al mese accoglie i 766 deputati europei, doveva essere messo sotto processo dai politici di ogni colore e latitudine, incalzato sulle misure che come banchiere centrale sta prendendo per rianimare l’economia. Un dibattito molto atteso, almeno sulla carta, probabilmente l’evento principale di questa plenaria, la trasferta in massa della massima istituzione europea da Bruxelles, prevista dagli assurdi trattati europei dodici volte all’anno. Chissà, forse sarà stato per la solitudine alla quale sono condannati tutti i numeri primi o per le atmosfere fredde e nebbiose dell’Alsazia che invitavano a restare sotto le coperte, ma più che un terreno di scontro, il parlamento sembrava un’immensa landa desolata dove mandare in scena uno stanco gioco delle parti.

L’intervento di Draghi, diviso in due riprese, rigorosamente in inglese, è durato in tutto una decina di minuti, con il leader della Bce che si è sobriamente limitato a difendere il lavoro dell’Eurotower, toccando temi come la crescita, l’inflazione, il ruolo della futura Unione bancaria, la stretta al credito per le piccole e medie imprese, e criticando i venti di nazionalismo. Una seduta iniziata una manciata di minuti dopo le 9 tra il gelo e l’indifferenza generale delle migliaia di persone che in questi giorni affollano il parlamento e terminata alle 11 spaccate come impone un protocollo da caserma. All’inizio erano presenti non più di 25 deputati, su 766, mentre nel salone c’erano in tutto un centinaio di persone, compresi messi, segretari, traduttori, spettatori e giornalisti. Seduto nel suo banco, forse stupito da tanta desolazione, Draghi ha diligentemente ascoltato gli interventi di una ventina di deputati, stretti nei tempi – massimo cinque minuti —, che dopo aver lanciato il proprio pensiero si dileguavano, con la scusa di dover partecipare ad altri incontri. Neanche Mario Borghezio, il pittoresco leghista, è riuscito a rianimare la sala, farfugliando soltanto qualche slogan: aiutate le piccole e medie imprese, ha detto, «perché vengono mangiate dai cinesi». In linea con i colleghi, vista la sagra delle banalità che ha colorato di grigio la mattinata: la cipriota Atigoni Papadopoulou ha tuonato contro i sacrifici che ha subito Cipro, la croata Ivana Maletic ha chiesto più equilibrio nei mercati europei, senza spiegare di più, poi c’è chi ha attaccato la troika («sono troppo duri», che scoperta...) e chi ha invocato più credito (così, in generale). Insomma, parole al vento, spese sotto gli occhi di alcune scolaresche invitate al parlamento per seguirne i lavori.

«Eh sì, eravamo in pochi in aula», ammette, allargando le braccia, Leonardo Domenici, europarlamentare Pd ed ex sindaco di Firenze, che ha seguito il dibattito vicino all’ex leader della Cgil, Sergio Cofferati. Praticamente gli unici italiani, assieme al vicepresidente Gianni Pittella, Mario Borghezio, Francesco Silvestris, Claudio Morganti e Rpberta Angelilli. . «Purtroppo – aggiunge Domenici – quando veniamo a Strasburgo vengono concentrati molti lavori parlamentari negli stessi orari, commissioni, incontri e così via. C’è stata una mancanza di coordinamento». Il vuoto è stato un segnale politico a Draghi? «No, assolutamente», risponde. Sarà, ma poco dopo le 13 il parlamento era semivuoto: la trasferta in Francia stava finendo, si pensava già al week end. Con tanti saluti a Mario Draghi. Uscito di scena nel silenzio più assoluto.