IL SOCIALISMO russo-caraibico di Fidel e Raul e l’embargo americano li hanno trasformati, in mezzo secolo di carestia automobilistica, nei migliori meccanici del mondo. Nessun motore ha un segreto per i cubani, nessun pezzo di ricambio è inimitabile. Dietro migliaia di serrande arrugginite si nascondono altrettante officine. Sanno fare miracoli con lime, cacciaviti e piccoli torni a mano. Anche col filo di ferro sono riusciti a tenere in piedi in condizioni perfette Chevy, Ford e Pontiac dai colori vivacissimi, tutte costruite e importate prima della rivoluzione del 1959. Da poche ore però L’Avana ha messo in cantiere un’altra svolta storica: ha tolto l’embargo all’importazione di auto e motociclette che verranno vendute anche dai privati a prezzi di mercato fra 30 giorni.

NON VUOL dire che scoppierà immediata una nuova "rivoluzione delle quattro ruote" dove Mercedes e Audi, Suv e Porsche, Fiat e Nissan da un giorno all’altro invaderanno l’isola, soppiantando le vecchie Lada spedite dall’Urss o i modelli da museo che rallegrano le strade dell’Avana. Con la benzina regalata dal Venezuela, i cubani potranno negoziare liberamente e non riferirsi soltanto al "mercato di Stato" che controlla o rimette in circolo solo i modelli con più di 50mila chilometri utilizzati dagli uffici e dalle agenzie turistiche. Il problema vero però è che mancano i soldi per gli acquisti. Un giovane funzionario cubano, ex campione di baseball, che lascerà il Palazzo di Vetro fra poche settimane, confessa che uno dei pezzi più preziosi che porterà a L’Avana nella "valigia diplomatica" è il freno per la sua prestigiosa Pontiac vintage e il tubo di scappamento che è riuscito a trovare nel deposito di un ferrivecchi appena fuori New York. Il vero posto dove cercare era la Pennsylvania, ma il suo visto non gli permette di andare oltre le 25 miglia in liena d’aria da Manhattan e quelle carrozzerie sono 'off limit'.

ANCHE se Obama chiude un occhio e forse tutti e due su televisori e computer che raggiungono L’Avana in 40 minuti d’aereo, la Casa Bianca non ha ancora esaminato bene la portata di questa nuova apertura castrista, che segue la deregulation dei piccoli ristoranti privati e dei negozi da barbiere concessa un paio d’anni fa. In un regime di simboli, tra diffidenza e intrighi dove lo status symbol conta ancora molto e si misura anche col "libretto dei privilegi" che include sportivi, medici, insegnanti e membri del partito, circolare per le strade di Varadero, Santiago o L’Avana con una bella auto, magari nuovissima, è molto più "in" di una tessera del partito comunista cubano, che invece vale sempre meno.

L’APERTURA graduale del governo comunista verso il libero mercato, con le 300 minuscole riforme annunciate da Raul ma non ancora tutte realizzate, ha ripopolato le strade della capitale e i ristorantini fatti in casa dove si riesce a mangiare con pochi dollari, ma il mercato dell’auto per molti cubani potrebbe rimanere soltanto un bellissimo miraggio. Per Rodrigo Duares, 36 anni, che vive nel Queens e ha tutta la famiglia a Santiago costretta a spostarsi in autobus per 4 ore il giorno, il libero mercato dell’auto è inavvicinabile: "I miei fratelli — dice — guadagnano l’equivalente di 25 dollari il mese, hanno la sanità e il libretto alimentare gratuiti, ma sebbene a Cuba non si paghino tasse, anche per una Toyota usata dovrebbero fare risparmi per i prossimi 50 anni".
Raul è avvisato: il prossimo passo è la riforma dei salari, altrimenti in automobile potranno andare solo i sindacalisti vicini al governo e ci sarà nei concessionari un sacco di invenduto.