ROMA
ERA
filtrata la parola «rimpasto», che sapeva troppo di Prima Repubblica e soprattutto faceva intendere che il segretario del Pd avrebbe potuto accontentarsi di qualche seggiola in più. E così è arrivato l’alt. Renzi non vuole una seggiola per i suoi, Renzi vuole tutto il ‘cucuzzaro’. «Questo Pd, con le grandi speranze che suscita, l’Italia, con le sue difficoltà e le sue grandi potenzialità non possono permettersi questo Governo e i suoi errori. E non basta un ritocco, un ‘rimpasto’: o si cambia radicalmente o ‘si muore’», ha spiegato su Facebook, perché adesso i siluri al governo si mandano via social network, Davide Faraone, membro della segreteria Pd ma soprattutto renziano doc, evidentemente autorizzato a parlare (seguito a ruota da altri interventi dello stesso tenore di altri esponenti renziani, ormai un partito nel partito).
Uno stop in piena regola, che arriva dal fronte vicino al segretario subito dopo i distinguo sempre verso il governo giunti nel corso delle polemiche seguite al decreto Milleproroghe. E che proprio per essere l’ennesimo della serie ha il sapore di un vero e proprio ‘penultimatum’. Manca poco e il Pd di Renzi si limiterà a dichiarare l’esecutivo Letta «governo amico». «È iniziato il countdown al governo», ha ridacchiato ieri la forzista Mara Carfagna.

TUTTI


ormai guardano a gennaio come il mese decisivo per la sorte dell’esecutivo e della legislatura, gennaio quando si dovrà sottoscrivere questo benedetto «patto di governo» tra Letta e Renzi — ammesso che entrambi lo vogliano fare, soprattutto il secondo — e si dovranno quagliare i primi provvedimenti in materia di legge elettorale. Il timing di una possibile crisi/tornata elettorale l’ha scandito nei giorni scorsi Renato Brunetta: per votare a fine maggio bisogna che la legge elettorale sia approvata alla Camera entro gennaio, per poi passare al Senato nella seconda parte di febbraio, e giungere allo scioglimento delle camere a marzo. Se questi tempi non saranno rispettati, Letta avrà passato la nuttata. Il quale Letta ieri non ha ovviamente risposto ai renziani, limitandosi a preparare l’accordo-quadro da presentare alla ripresa dopo il primo gennaio, e osservando le ultime manovre del suo segretario su fronti per Renzi inediti, tipo quello sindacale. Dopo le schermaglie soprattutto con la Cgil sia prima che dopo le primarie, ecco le prime prove di intesa. Il segretario Fiom Maurizio Landini ha aperto qualche spiraglio al dialogo con Renzi a proposito di contratto unico (la parola d’ordine è «semplificazione»), mentre il Job Act renziano non è respinto al mittente da Raffaele Bonanni (Cisl). «È una buona base di partenza, ci sarà modo di parlare. L’importante è che ci siano la progressiva stabilizzazione del lavoro precario e il fatto che la flessibilità venga maggiormente retribuita».
r. r.