ROMA
«QUALORA
l’India dovesse decidere che i due marò italiani devono essere giudicati per capi di imputazione che contemplano la pena di morte, inevitabilmente l’Europa non potrebbe proseguire le trattative sugli accordi di libero scambio né, tanto meno, continuare a mantenere la situazione di favore con la concessione di tariffe agevolate».
Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea, è categorico. Spiega anche da che cosa derivano queste certezze.
«La posizione dura non è mia, è dell’Europa tutta ed è nei fatti. Per l’Europa la pena di morte è inaccettabile. Non dimentichiamo che l’Europa ha preso un Nobel per la pace per il rifiuto della pena di morte. Nella Ue, altro dato importante, non è prevista l’estradizione in Paesi dove viene applicata la pena capitale. Impossibile, quindi, continuare a trattare. Non sto parlando di una ipotetica condanna, mi riferisco anche ai capi di imputazione».
Che da due anni non sono stati ancora formulati.



«Appunto. Allora viene da dire che se non ci sono neanche i capi di imputazione, li rimandino a casa».
Ma non è così immediato.

«Occorre procedere per gradi e ritengo che, rispetto all’incolpazione, ci si può concedere un cauto ottimismo. Soprattutto dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri indiano che ha escluso l’ipotesi di applicazione della legge antiterrorismo».
Che cosa sta accadendo in queste ore?

«C’è un grande lavoro diplomatico e non soltanto da parte dell’Italia. Anche l’ambasciatore Ue, con discrezione, sta operando a Nuova Delhi, così come altri ambasciatori europei, sempre dietro le quinte, si stanno adoperando per risolvere la questione».
Barroso si è impegnato?

«Assolutamente e pienamente. Mi ha ribadito che la Commissione europea farà tutto il possibile per giungere a un positivo epilogo».
Le pressioni cominciano a farsi sentire?

«Non sono mai mancate. È ovvio, però, che con il ricomparire sulla scena dell’ipotesi pena di morte, si sono rinforzate. In ballo c’è molto: le trattative per gli accordi commerciali, le agevolazioni. Senza considerare che si tratta di due militari italiani che erano impegnati in una missione internazionale contro la pirateria. Un’eventuale incriminazione per terrorismo, come un’ipotetica condanna, mettono a rischio la partecipazione dell’Italia alle missioni di pace del futuro».
Che cosa auspica?

«Nessuna imputazione di terrorismo, un processo rapido ed equo che riporti i due fucilieri in Italia. Tanto più che loro erano in acque internazionali e su suolo italiano, perché la nave che li ospitava è italiana».
Se fosse stato ministro degli Esteri ai tempi della licenza premio in Italia, li avrebbe fatti ripartire?

«Assolutamente no. Come dicevo, l’Europa non concede l’estradizione in Paesi dove vige la pena di morte. Non c’era alcun motivo di rimandarli in India, avevano già dimostrato ampiamente disponibilità e correttezza».
Silvia Mastrantonio