MILANO
IL RAGAZZO
col megafono, che protesta in piazza con la felpa, quest’anno compie 41 anni. No, non è un reduce dei centri sociali di Milano, ma l’ex leader dei Comunisti padani, la lista delle elezioni del «parlamento del nord» del ’97. Sì, perché il contestatore con la barba lunga e il megafono è Matteo Salvini (nella foto sopra, Newpress), deputato europeo che detesta l’euro, segretario del Carroccio appoggiato da Roberto Maroni, che è passato dalla «vera idolatria» per Bossi a prenderne il posto come capo della Lega.

IN VENT’ANNI

passati nel Consiglio comunale di Milano, dal 1993 delle macerie di Tangentopoli all’arancione Pisapia, non si è perso un campo nomadi dove passeggiare o un fatto di sangue compiuto da uno straniero contro cui chiedere pene certe ed espulsioni. Di tempo per studiare ce n’era poco e, non avendo comprato la laurea in Albania, è rimasto iscritto per 16 anni alla facoltà di Storia della Statale di Milano, senza finirla. Professione? In passato un impiego (breve) al fast food per pagarsi gli studi (lunghi) e un posto da pubblicista alla «Padania». Per il resto, politica. Aule di Parlamento, consigli municipali. Fiaccole accese per chiedere «sicurezza» e striscioni contro le moschee o l’indulto. Metodi di sinistra, temi diversi. «Io ritengo che alcuni valori: ambiente, difesa degli operai e del lavoro, li porti avanti la Lega e non più una certa sinistra. Se la sinistra è quella che si occupa solo degli immigrati e dei carcerati allora non è la mia roba», ha detto. E, davvero, degli immigrati si è occupato molto Salvini. Prese una reprimenda persino da Berlusconi, quando disse ai giornalisti di «aver scritto al presidente dell’Atm, perché riservi le prime due vetture di ogni convoglio alle donne che non possono sentirsi sicure per la maleducazione di molti extracomunitari». Seguono polemiche e visibilità. Ci gode, quando gli altri si indignano perché vira a destra e intona il coro razzista contro la Kyenge. Si fa un vanto di stare sul territorio, di parlare dialetto con le «sciùre» dei palazzoni del Corvetto.

PAZIENZA

se a Bruxelles, dove lo vedono poco, qualche collega di altri partiti lo chiama «fannullone». Lui fa spallucce e sigla il patto con il Front national francese. Il comunista padano piano piano si converte alla destra. Sorrisi e abbracci mercoledì con Marine Le Pen, nel nome di «un’altra Europa, pacifica e ordinata, non serva dell’euro e delle banche». Poi, la corsa a Torino, per difendere il governatore Roberto Cota nei guai per le mutande verdi. La battaglia della Lega per risollevare i consensi è qui, nelle periferie frustrate, dove agli italiani impoveriti Salvini, versione di lotta dal sapore bossiano del Carroccio di governo di Maroni, fa balenare il pugno duro con gli euroburocrati e con gli islamici che fanno paura.
Guido Bandera