Alessandra Nanni
RIMINI
PER TUTTI era diventato il sorcio. Nessuno lo chiamava più per nome, da quando i compagni di scuola avevano invaso Facebook con quel crudele nomignolo che richiamava i suoi denti sporgenti. Contro quel mondo virtuale che gli aveva cambiato identità, il 15enne non poteva fare nulla, se non arrendersi. Così ha lasciato la scuola che frequentava a Rimini ed è tornato in Sicilia, riprendendosi la sua vita. Se ne sono andati tutti, anche la famiglia, ma prima di lasciare il Nord, hanno denunciato i giovani bulli. Quattro coetanei della vittima che adesso chiedono scusa di una crudeltà che è tutta dei 15 anni. I ragazzini, difesi dagli avvocati Luigi Renni e Piero Venturi, sono stati interrogati dalle forze dellordine, alla presenza di genitori, dicono, stavolta poco inclini a giustificarli. «Ci dispiace moltissimo hanno confessato tra le lacrime non abbiamo capito la gravità di quello che stavamo facendo, e gli chiediamo scusa». Non si erano resi conto, hanno ammesso, che con quel click avrebbero messo in moto tanta sofferenza.
EPPURE, hanno raccontato mortificati, erano stati gli unici a cercare di coinvolgere quel ragazzino appena arrivato in classe dalla Sicilia. Un giovane schivo che non legava con nessuno. Isolato per scelta o per forza, non era comunque riuscito a farsi degli amici. Ci avevano provato loro, usando il linguaggio della loro generazione: Facebook. Un cosmo virtuale che ti scaraventa in mezzo a un mondo vero, e dove non sempre scegli tu come finirci. Così è stato per il sorcio. Lui ha cercato per mesi di non vedersi in quel modo, di convincersi che i suoi denti erano simili a milioni di altri, ma sapeva che era una battaglia persa in partenza. Nessuno più a scuola lo chiamava con il suo vero nome. «Il sorcio è partito», «il sorcio è appena tornato» scrivevano sul web. E lui era diventato unimmagine distorta che aveva finito col riflettersi anche nel suo specchio. Nelle aule di scuola i soprannomi si sono sempre sprecati, e qualche volta anche quelli che facevano male. Facevi finta di niente, ingoiavi i lacrimoni e speravi che passasse. E il peggio prima o poi passava. Anche se cè gente che a 50 anni non lha ancora digerita del tutto.
IMPOSSIBILE farlo per un 15enne che se lo trova scolpito ogni giorno nellunico universo che adesso conta se vuoi contare, quello di Facebook. Ha capito che non ce lavrebbe fatta, troppa sofferenza, nessuna difesa. E ha deciso di scappare via. I genitori hanno capito, ma prima di fare le valigie hanno voluto vendicare la sua umiliazione, e hanno denunciato i persecutori. Che persecutori non sono, perché non hanno nemmeno capito perchè sono finiti davanti al Tribunale dei minori. Quello, hanno detto, era un modo per essere amici suoi.
RIMINI
PER TUTTI era diventato il sorcio. Nessuno lo chiamava più per nome, da quando i compagni di scuola avevano invaso Facebook con quel crudele nomignolo che richiamava i suoi denti sporgenti. Contro quel mondo virtuale che gli aveva cambiato identità, il 15enne non poteva fare nulla, se non arrendersi. Così ha lasciato la scuola che frequentava a Rimini ed è tornato in Sicilia, riprendendosi la sua vita. Se ne sono andati tutti, anche la famiglia, ma prima di lasciare il Nord, hanno denunciato i giovani bulli. Quattro coetanei della vittima che adesso chiedono scusa di una crudeltà che è tutta dei 15 anni. I ragazzini, difesi dagli avvocati Luigi Renni e Piero Venturi, sono stati interrogati dalle forze dellordine, alla presenza di genitori, dicono, stavolta poco inclini a giustificarli. «Ci dispiace moltissimo hanno confessato tra le lacrime non abbiamo capito la gravità di quello che stavamo facendo, e gli chiediamo scusa». Non si erano resi conto, hanno ammesso, che con quel click avrebbero messo in moto tanta sofferenza.
EPPURE, hanno raccontato mortificati, erano stati gli unici a cercare di coinvolgere quel ragazzino appena arrivato in classe dalla Sicilia. Un giovane schivo che non legava con nessuno. Isolato per scelta o per forza, non era comunque riuscito a farsi degli amici. Ci avevano provato loro, usando il linguaggio della loro generazione: Facebook. Un cosmo virtuale che ti scaraventa in mezzo a un mondo vero, e dove non sempre scegli tu come finirci. Così è stato per il sorcio. Lui ha cercato per mesi di non vedersi in quel modo, di convincersi che i suoi denti erano simili a milioni di altri, ma sapeva che era una battaglia persa in partenza. Nessuno più a scuola lo chiamava con il suo vero nome. «Il sorcio è partito», «il sorcio è appena tornato» scrivevano sul web. E lui era diventato unimmagine distorta che aveva finito col riflettersi anche nel suo specchio. Nelle aule di scuola i soprannomi si sono sempre sprecati, e qualche volta anche quelli che facevano male. Facevi finta di niente, ingoiavi i lacrimoni e speravi che passasse. E il peggio prima o poi passava. Anche se cè gente che a 50 anni non lha ancora digerita del tutto.
IMPOSSIBILE farlo per un 15enne che se lo trova scolpito ogni giorno nellunico universo che adesso conta se vuoi contare, quello di Facebook. Ha capito che non ce lavrebbe fatta, troppa sofferenza, nessuna difesa. E ha deciso di scappare via. I genitori hanno capito, ma prima di fare le valigie hanno voluto vendicare la sua umiliazione, e hanno denunciato i persecutori. Che persecutori non sono, perché non hanno nemmeno capito perchè sono finiti davanti al Tribunale dei minori. Quello, hanno detto, era un modo per essere amici suoi.
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