«OGGI MI SENTO come il ministro del petrolio in un paese arabo!». Dario Franceschini scherza sul nuovo incarico nel governo Renzi.
Il dicastero dei Beni Culturali e del Turismo non ha la valenza politica di quello della Giustizia, che lei avrebbe rifiutato.
«L’ho fatto consapevolmente, a mio avviso in Italia, con le bellezze e le potenzialità del Paese, è più importante anche di un ministero economico. Abbiamo enormi doveri di conservazione ma anche di valorizzazione, possiamo attrarre concretamente investimenti esteri».
È subito operativo: del resto è la missione del governo Renzi.
«Non ci sono alternative, la capacità di attuare grandi riforme e incidere in maniera positiva in un tessuto ancora profondamente segnato dalla crisi è il compito primario che attende l’esecutivo».
Compito non facile. Ma non era lo stesso del governo Letta?
«Non poteva essere la stessa cosa, in quel caso si trattava di un governo d’emergenza, nato dopo i giorni disastrosi in cui nessuno aveva vinto le elezioni e dopo la mancata elezione del presidente della Repubblica. Quello di Enrico era un esecutivo che viveva giorno per giorno, con rischi e potenziali imboscate dietro ogni angolo».
Ora cosa c’è di diverso?
«Innanzitutto la volontà, dichiarata e sostanziata da impegni condivisi, di arrivare a fine legislatura. Poi c’è una variabile, politicamente non secondaria, rappresentata dal fatto che Berlusconi oggi è all’opposizione; in modo responsabile, secondo le sue stesse dichiarazioni, ma pur sempre all’opposizione».
In questo cambio di prospettiva, su di lei è piovuta anche l’accusa di essere un traditore, per aver quasi lasciato Letta al proprio destino.
«La parola traditore mi fa arrabbiare solo a sentirla (Franceschini usa un termine più esplicito,









ndr): è un discorso sciocco, e non solo perché con Enrico i rapporti sono rimasti buoni ma anche perché la scelta è stata condivisa dentro il partito. Una scelta politica, votata da 140 dirigenti contro 15, dunque quanti traditori ci sarebbero nel Pd? Ma non voglio neppure ripeterla, quella parola mi fa ribrezzo. Poi basterebbe chiedere a Letta e Renzi chi sono, e cosa sono stato in questi mesi: anche un ponte di comunicazione tra loro, quando non comunicavano. Essendo amico di tutti e due, e avendo qualche anno in più di entrambi, mi sono permesso persino un po’ di franchezza».
Insomma, non un traditore ma l’amico saggio.
«Amico senz’altro, sul saggio non ci scommetterei».
Ha citato le scelte interne al Pd; immagina nuove turbolenze nel partito?
«Non più di tanto, non credo che ci saranno enormi tensioni, non più che fisiologiche. Questo governo impone a tutti una forte consapevolezza, quella di agire in modo positivo e per le riforme. Sono convinto che se riusciremo a lavorare con questo spirito, nell’opinione pubblica oggi frastornata il consenso crescerà rapidamente».
Berlusconi non è solo all’opposizione, c’è soprattutto Beppe Grillo.
«Le differenze sono siderali. Sin dai pochi minuti dell’incontro in ‘streaming’ con Renzi, si è visto che Grillo odia tutto ciò che dimostra la capacità della politica di autoriformarsi. Lui ha bisogno del fallimento per alimentarsi, per prendere voti. Deve cavalcare la rabbia, per molti versi giusta della gente, perché non ha e non si è dato altre armi».
Tra le armi di questo governo, per usare un suo termine, ci sono ben cinque ministri dell’Emilia Romagna su 17: sembra una sorta di... giunta regionale, oppure è la prova che il ‘modello emiliano’ è tornato vincente?
«Il dato è significativo, ma ci sono anche tre toscani e fra loro ce n’è uno che da solo compensa qualsiasi eventuale primato geopolitico».
Torniamo al suo approdo ai Beni Culturali: un antico sogno che si realizza, per chi ricorda il suo disappunto quando, diventato sottosegretario alla presidenza del governo D’Alema, non nascondeva una sorta d’invidia per Giovanna Melandri.
«Perché, ingenerosamente, mi ricorda che gli anni passano?».
Qualcuno, via Twitter, l’ha presa di mira per l’incarico: anche lei scrive romanzi ma non è Alessandro Baricco, la battuta...
«Qui c’è un altro errore di fondo, come per l’accusa di tradimento; chi pensa che io abbia desiderato diventare ministro dei Beni Culturali e del Turismo per una sorta di capriccio da intellettuale, è fuori strada. Ripeto che questo dicastero, per il nostro Paese, ha più valore di un ministero economico: è il settore in cui, lavorando con attenzione e serietà, si possono ed anzi si devono attrarre investimenti».
A cosa pensa?
«Ci sono flussi turistici enormi e nuovi, non possiamo più immaginare che solo Roma, Venezia o Firenze siano in grado d’intercettarli. C’è un sistema paese, ma anche semplicemente il nostro territorio regionale, intessuto di città d’arte, di borghi e di coste capaci di essere attrattive e dare servizi. Abbiamo poi davanti a noi l’occasione dell’Expo 2015 per essere subito credibili e appetibili».
Non ritiene, in conclusione, che questo governo non rappresenti anche un grande azzardo?
«In senso positivo lo è senz’altro, ma anche questo rappresenta un fatto ineludibile. L’Italia è piena di emergenze drammatiche, in molti settori, e servirà senz’altro questa scossa per poter agganciare la ripresa di cui si intuiscono i primi flebili segni».
E’ fiducioso?
«Non mi ha appena definito lei un saggio?»