Matteo Palo
ROMA
IL MAXI BUCO

di Roma rischia di ricadere sulla collettività e affossare definitivamente il Paese. Uno spettro per il neopremier, che infatti ha riservato la massima attenzione al decreto Salva-Roma, nel quale ballano circa 485 milioni di euro destinati alle casse della Capitale. Una cifra gigantesca per lo stato comatoso dei nostri conti pubblici, ma una goccia nel mare se mettiamo le mani nei bilanci dell’amministrazione guidata da Ignazio Marino. Per riportare la situazione in pareggio ci vorrebbero infatti almeno sedici miliardi di euro.

PER CAPIRE

come è strutturato questo buco, dobbiamo tornare al 2008. Il governo di allora e il sindaco Gianni Alemanno decisero di evitare il fallimento, adottando una soluzione creativa: mettere tutto il debito in mano a una amministrazione commissariale — una sorta di bad company — e «liberare» il bilancio ordinario del Campidoglio. A questo debito storico via via cresciuto e arrivato adesso a 14,9 miliardi va sommato il debito della gestione ordinaria che, nel giro di pochi anni, è tornato su livelli di guardia.
I conti li ha fatti l’agenzia di rating Fitch: prima si è scesi dagli 1,1 miliardi del 2009 ai 605 milioni del 2010, salvo poi risalire a 1,2 miliardi a fine 2013. In totale, circa sedici miliardi tra passato e presente.
I motivi di questa perdita strutturale sono parecchi. Ci sono gli affitti delle sedi istituzionali pagati a carissimo prezzo. Ci sono i 43mila alloggi di proprietà comunale che rendono mediamente 52 euro.
I dipendenti tra municipalizzate e dipendenti diretti sono circa 62mila (la Regione Lombardia ne ha poco più di tremila). In Italia la quota di dipendenti comunali pro-capite è di 7,59 ogni mille abitanti, a Roma sono 9,10.
C’è poi il capitolo delle municipalizzate. Atac, la società che gestisce il trasporto pubblico, non ha mai chiuso un bilancio in attivo negli ultimi dieci anni. Ama (rifiuti), ha poco meno di 8mila dipendenti con una tendenza da record all’assenteismo: ogni giorno ne restano a casa un migliaio. E, poi, ci sono gli scandali. Solo negli ultimi anni c’è stata la parentopoli, che avrebbe portato migliaia di assunzioni nelle municipalizzate, i biglietti clonati, i rifiuti e le discariche.

E SE ANCHE





in passato ci sono state altre operazioni di salvataggio per comuni dissestati, mai si era arrivati a queste cifre. Il pacchetto più pesante di aiuti, negli ultimi anni, è stato deliberato a favore della Regione Lazio nel 2006: circa dieci miliardi di euro, ma si trattava di prestiti a tasso zero. Sul piatto dal governo Monti per la Regione Sicilia sono invece arrivati 400 milioni. Nel 2008, poi, il Comune di Catania ha incassato un assegno da 140 milioni di euro. E, pochi mesi fa, il Comune di Napoli si è salvato (almeno per ora) grazie a 220 milioni di finanziamento statale, che si sono sommati a 297 milioni della Cassa depositi e prestiti. Tutti, inesorabilmente, a carico della collettività.