Lorenzo Guadagnucci

TUTTO cominciò con un semplice appunto, un ‘memo’ preparato da un giovane fisico del Cern di Ginevra per i suoi capi. Tim Berners-Lee vi spiegava la sua idea di una grande rete mondiale per la condivisione di dati e informazioni. Cominciava l’avventura del World Wide Web, lo strumento che ha permesso l’apertura a tutti della rete Internet attraverso le interfacce grafiche e gli indirizzi che cominciano con il classico http://www...

ERA IL MARZO del 1989 e all’epoca solo poche persone erano in grado di capire, o almeno intuire, ciò che Berners-Lee immaginava. Internet era utilizzata solo all’interno di certe comunità scientifiche e fino al 1991 il World Wide Web creato da Berners Lee con la collaborazione di un ingegnere informatico belga, Robert Cailliau, rimase conosciuto solo nell’ambito del Cern.
Per capire quanto è stata importante l’idea maturata al Cern, basti dire che in precedenza i computer comunicavano in modo solo testuale e attraverso le cosiddette Bbs (Bulletin Board System), le bacheche virtuali frequentate da pochi appassionati pionieri armati di personal computer, modem e con un’attitudine marcata all’insonnia. Col World Wide Web sono arrivati la grafica, un sistema uniforme di indirizzi, la logica ipertestuale, cioè il passaggio da un argomento e un sito a un altro attraverso un «link». Tutto ciò che ha reso possibile un utilizzo di massa della rete Internet.
Nato a Londra nel 1955, oggi al Mit negli Stati Uniti, Tim Berners-Lee può essere considerato, senza esagerazioni, uno degli uomini più importanti del secolo scorso, un protagonista assoluto dell’era digitale. Un personaggio, per certi versi, più significativo e affascinante di Steve Jobs, uomo geniale e grande manager, ma che non ha rispettato lo spirito libertario e collaborativo all’origine della rivoluzione digitale. Berners-Lee, diversamente da Jobs e altri grandi personaggi della Rete, non ha guadagnato un solo dollaro dalla sua invenzione, che non è stata brevettata. Lui l’ha sempre considerata come un contributo alla diffusione delle conoscenze, uno strumento al servizio della creatività.

OGGI Berners-Lee dice che l’accesso a Internet dev’essere considerato un diritto umano, un concetto che 25 anni fa, all’epoca del suo storico ‘memo’ ai superiori, non era nemmeno lontanamente immaginabile. Ma che vi sia un nesso fra la facilità d’accesso alla Rete e la democrazia, è un’intuizione che risale ai primi anni di vita del Web. In Italia fu Bologna la prima grande città a crederci. A metà degli anni Novanta nacque la rete civica Iperbole, grazie alla collaborazione fra il Comune e il consorzio interuniversitario Cineca, che dispone di grandi strutture informatiche. Stefano Bonaga, il filosofo-assessore, teorizzò il principio del diritto d’accesso gratuito alla Rete e il Comune cominciò a distribuire indirizzi mail e dischetti con i software necessari alla navigazione. Chiunque, munito di un personal computer, poteva connettersi alla Rete, all’epoca un autentico mistero per i più.

PAREVA l’inizio di un cambiamento radicale nel concetto di democrazia, ma finora la rivoluzione dell’e-democracy non è decollata e anzi sulla Rete si addensano nuove minacce, dall’autoritarismo dei governi agli appetiti proprietari delle grandi corporation. Liu Xiaobo, lo scrittore cinese dissidente premio Nobel per la pace nel 2010, ha detto che Internet è un dono di dio, prima di Papa Francesco, pensando all’importanza della Rete nelle lotte contro le dittature. Un dono di dio e dell’idea geniale di un fisico inglese campione di modestia.