Antonella Coppari

ROMA, 20 marzo 2014 - E ADESSO si apre un problema anche per i giornalisti: dovranno abituarsi a non chiamarlo più Cavaliere. Il termine non potrà più essere sinomino di Berlusconi. Non è la fine del mondo, ma è il segno che qualcosa è cambiato: «Fanno passare per delinquente un uomo che non ha mai fatto nulla di male al Paese», si lamenta lui. Che preferisce inviare la richiesta di autospensione alla Federazione dei cavalieri del lavoro prima che fossero presi provvedimenti dopo l’ultima sentenza della Cassazione: «Faccio un passo indietro prima di essere esiliato dal mio mondo».

LA CONFERMA dell’interdizione dai pubblici uffici — oltre a riportargli alla mente la vicenda dell’amico Craxi — lo costringe a concentrarsi sulla prossima scadenza elettorale, benchè frema nell’attesa dell’ennesimo passaggio giudiziario, il 10 aprile. Quando il tribunale di sorveglianza di Milano deciderà come dovrà scontare la pena per la condanna Mediaset. Così piomba a Roma. Con Toti, riunisce a Palazzo Grazioli Brunetta, Romani, Verdini, Gianni Letta e Ghedini per fare il punto. Vuole lanciare un segnale a un partito disorientato. Alcune simulazioni hanno mostrato che, senza il suo nome sulle liste, Forza Italia perderebbe il 6%, calando al 17%. Numeri devastanti, a maggior ragione se relegassero il partito al terzo posto, dopo Grillo. Nella sua residenza romana si ragiona di ipotesi alternative: «Comunque, il presidente resta in campo», assicura Toti. Si torna a parlare della possibilità che uno dei figli ‘si immoli’ per mantenere il ‘brand’. A sorpresa, per i sondaggi il più gradito sarebbe Pier Silvio. In una sfida virtuale contro Renzi, Tecnè lo piazza al 22% contro il 35% del premier. Si spiega perchè il leader forzista preme perché lui si candidi come capolista in tutte le circoscrizioni. Secondo voci, avrebbe pure scritto l’eventuale discorso di accettazione, oltre a registrare il video di un intervento di Pier Silvio a una convention per dimostrarne l’eloquenza. Il diretto interessato nicchia: deve fare i conti, però, con il pressing del partito. Dove sarebbe visto meglio delle figlie. Se non di Marina, sicuramente di Barbara.

IN ALTERNATIVA, c’è lo scenario B: lasciare il cognome nel simbolo. Da un lato gli avvocati temono che i magistrati considerino la scelta una dichiarazione di guerra. Dall’altro, non si sottovaluta il rischio che l’elettore scriva quel nome sulla scheda annullandola. In assenza del padre e dei figli, l’unica via di uscita sono i big nelle liste. Di qui l’idea di concedere deroghe per permettere ad alcuni parlamentari di candidarsi. Qualcuno dava Fitto capolista al Sud, Brunetta nel Nord est, con Tajani al centro e Toti nel Nord Ovest. «Niente è stato deciso», assicura quest’ultimo. Per evitare nuove liti dentro Fi, aggiungono i maligni.