Ettore Maria Colombo
ROMA
IL GOVERNO e la maggioranza incassano al Senato la semi-definitiva approvazione del ddl Delrio sulle province (160 sì, 133 no, 296 i senatori presenti) tra mille dubbi e mal di pancia e solo dopo aver dovuto mettere la fiducia. A soffrire, a palazzo Madama, è larea centrista: Popolari per lItalia spaccati (Di Maggio e Rossi votano contro, lex ministro Mauro vota sì solo per disciplina di maggioranza, Casini e Merloni stanno con Renzi), mentre Forza Italia, ormai allo sbando, è alle prese con i mille dubbi sullItalicum («Se diventiamo terzo partito a cosa ci serve?») e sulla riforma del Senato (i berluscones lo vogliono ridotto ma elettivo, Renzi non lo vuole proprio) e lNcd preoccupata, come tutti gli altri piccoli, delle Europee. Alla Camera, invece, è il Pd che scricchiola, in particolare lala sinistra, per una volta ricompattata. Due le questioni: una legislativa, il dl Poletti sul lavoro, già arrivato in aula ma su cui la sinistra è pronta alle barricate, e una interna al partito, la riorganizzazione in segreteria con Renzi premier. Sulle riforme il premier vuole andar via liscio: «Se il Senato non va a casa, vado a casa io», ha ripetuto ieri in Calabria. E sulla questione Province: «Io vado avanti, farò le riforme o andrò a casa». La riunione notturna con deputati e senatori su riforma del Senato e Titolo V filerà via senza problemi, per Renzi, ma i guai sono alle porte. E hanno un nome: decreto-legge Poletti sul lavoro.
IL PRESIDENTE della commissione Lavoro, Cesare Damiano, darà battaglia e, con lui, tutta larea Cuperlo, da Fassina (che ieri ha presentato, con DAttore, Leva e Giorgis, un emendamento al ddl riforme con la possibilità di fare debito nelle spese per investimenti) a Orfini. Il quale confida a un collega di partito: «O il dl Poletti cambia radicalmente o Renzi se lo vota con Forza Italia o mette la fiducia. Certo è che ci faremo sentire». La deputata toscana Elisa Simoni spiega il merito: «Dare diritti a chi non li ha va bene, ma lambizione del governo deve essere quella di cambiare il sindacato, non di eliminarlo, la concertazione serve e non si può fare macelleria sociale».
SE QUESTE sono le avvisaglie sul dl lavoro, che presto arriverà in Aula, non va meglio sul ddl voto di scambio: le posizioni tra Ncd e FI sono vicine fin quasi a toccarsi mentre Renzi e il governo premono perché passi subito ma lostruzionismo azzurro ne farà rinviare lesame almeno fino ad aprile. I problemi interni al Pd si amplificano in vista della Direzione di domani dove la soluzione più quotata nomina di Lorenzo Guerini, attuale portavoce della segreteria, e Deborah Serracchiani al ruolo di vicesegretari provoca fibrillazioni nella minoranza. Cuperlo ed Epifani hanno già espresso contrarietà e la minoranza, anche qui unita, sappresta a dire no a ogni gestione unitaria.
ROMA
IL GOVERNO e la maggioranza incassano al Senato la semi-definitiva approvazione del ddl Delrio sulle province (160 sì, 133 no, 296 i senatori presenti) tra mille dubbi e mal di pancia e solo dopo aver dovuto mettere la fiducia. A soffrire, a palazzo Madama, è larea centrista: Popolari per lItalia spaccati (Di Maggio e Rossi votano contro, lex ministro Mauro vota sì solo per disciplina di maggioranza, Casini e Merloni stanno con Renzi), mentre Forza Italia, ormai allo sbando, è alle prese con i mille dubbi sullItalicum («Se diventiamo terzo partito a cosa ci serve?») e sulla riforma del Senato (i berluscones lo vogliono ridotto ma elettivo, Renzi non lo vuole proprio) e lNcd preoccupata, come tutti gli altri piccoli, delle Europee. Alla Camera, invece, è il Pd che scricchiola, in particolare lala sinistra, per una volta ricompattata. Due le questioni: una legislativa, il dl Poletti sul lavoro, già arrivato in aula ma su cui la sinistra è pronta alle barricate, e una interna al partito, la riorganizzazione in segreteria con Renzi premier. Sulle riforme il premier vuole andar via liscio: «Se il Senato non va a casa, vado a casa io», ha ripetuto ieri in Calabria. E sulla questione Province: «Io vado avanti, farò le riforme o andrò a casa». La riunione notturna con deputati e senatori su riforma del Senato e Titolo V filerà via senza problemi, per Renzi, ma i guai sono alle porte. E hanno un nome: decreto-legge Poletti sul lavoro.
IL PRESIDENTE della commissione Lavoro, Cesare Damiano, darà battaglia e, con lui, tutta larea Cuperlo, da Fassina (che ieri ha presentato, con DAttore, Leva e Giorgis, un emendamento al ddl riforme con la possibilità di fare debito nelle spese per investimenti) a Orfini. Il quale confida a un collega di partito: «O il dl Poletti cambia radicalmente o Renzi se lo vota con Forza Italia o mette la fiducia. Certo è che ci faremo sentire». La deputata toscana Elisa Simoni spiega il merito: «Dare diritti a chi non li ha va bene, ma lambizione del governo deve essere quella di cambiare il sindacato, non di eliminarlo, la concertazione serve e non si può fare macelleria sociale».
SE QUESTE sono le avvisaglie sul dl lavoro, che presto arriverà in Aula, non va meglio sul ddl voto di scambio: le posizioni tra Ncd e FI sono vicine fin quasi a toccarsi mentre Renzi e il governo premono perché passi subito ma lostruzionismo azzurro ne farà rinviare lesame almeno fino ad aprile. I problemi interni al Pd si amplificano in vista della Direzione di domani dove la soluzione più quotata nomina di Lorenzo Guerini, attuale portavoce della segreteria, e Deborah Serracchiani al ruolo di vicesegretari provoca fibrillazioni nella minoranza. Cuperlo ed Epifani hanno già espresso contrarietà e la minoranza, anche qui unita, sappresta a dire no a ogni gestione unitaria.
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