Elena G. Polidori

ROMA, 28 marzo 2014 - I NODI, prima o poi, vengono al pettine. E il decreto lavoro potrebbe diventare un vero calvario per il governo Renzi. Ieri, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è finito in minoranza nell’omonima commissione della Camera dove la compattezza dei Dem è invece essenziale per il destino del provvedimento. E dove, invece, la minoranza interna Pd è in realtà maggioranza, essendo rappresentata da 13 esponenti che al momento non paiono avere alcuna intenzione di mollare. Anzi. Con i 3 di Sel (Di Salvo, Airaudo, Placido), gli 8 M5s, e la deputata ex M5s Labriola, il fronte dei sicuramente contrari al dl arriva a quota 25 su 46. Tanto più che i grillini stavolta non vanno per il sottile. «Il decreto è invotabile, è un modo per rendere legale qualcosa di illegale; per questo possiamo votare con la minoranza Pd, perché noi non facciamo alleanze, ma votiamo le idee. E queste idee vanno respinte», ha spiegato il capogruppo in commissione Davide Tripiedi.

POLETTI intanto si è difeso: «Valutiamo le cose guardando i numeri, poi se non funzionano, cambieremo. È legittimo che ci siano obiezioni, ma bisogna guardare i fatti e la norma sui contratti a termine produce un esito più stabilizzante». Il problema è che dentro il Pd questo testo va di traverso a troppa gente. E il malumore sale. Bersaniani e ‘giovani turchi’ hanno detto chiaramente che senza modifiche sostanziali al decreto (nella parte che riguarda il contratto a termine senza causale e nella stabilizzazione degli apprendisti) non lo voteranno neppure sotto tortura e dunque c’è la necessità di rivedere la linea per evitare nuovi scivoloni. Mercoledì prossimo, i Dem in commissione si confronteranno con la segreteria del partito per tentare di ritrovare una linea comune. Le ipotesi fino a oggi adombrate parlano di una limitazione a 24 mesi (invece di 36) dei contratti a termine senza causale, ma non sarà facile che passi. E se la trattativa dovesse fallire, allora la sinistra Pd si sentirebbe libera di cambiare il decreto come meglio crede, ossia — con tutta probabilità — attraverso il ‘lodo Epifani’ che prevede di inserire il principio del contratto unico a tutele crescenti proprio nel decreto Poletti. In questo modo, cioè, il decreto avocherebbe a sé la materia della legge delega sul lavoro, il famoso Jobs act.

UN PASSAGGIO complicato, insomma. Di difficile digestione per una minoranza Pd pronta alle barricate a partire dalla segreteria del Pd di oggi, con in testa i ‘giovani turchi’. Spiega Matteo Orfini: «Renzi deve decidere come vuole governare, altrimenti approverà il dl Poletti insieme con Forza Italia e il Nuovo Centrodestra: spaccando il Pd». Anche perché il decreto è — ad oggi — «l’unico provvedimento in grado di produrre altri precari». Non solo. Anche Forza Italia non è convinta. Dice Renata Polverini: «Nel dl c’è solo un new deal della precarizzazione e l’indebolimento dell’apprendistato, unica vera porta di ingresso nel mondo del lavoro». Insomma, sul lavoro Renzi rischia di ritrovarsi in beata solitudine e di correre un bel rischio. Avverte, infatti, Sergio Pizzolante, capogruppo Ncd in commissione Lavoro: «Su questo decreto si gioca la credibilità del governo».