ROMA, 1 aprile 2014 - PER IL JOBS act la giornata chiave sarà domani, quando il ministro del Welfare Giuliano Poletti presenterà la sua creatura ai gruppi parlamentari del Pd. Ma le contrapposizioni tra la maggioranza e la sinistra del partito sembrano andare via via smussandosi. Lo stesso Poletti si dice «tranquillo», convinto com’è che che sui contratti a termine e sull’apprendistato alla fine si possa arrivare a un accordo in Parlamento. «L’unica cosa su cui non si può trattare è l’impianto del decreto». Sulla riduzione delle 8 proroghe del contratto a termine nell’arco dei tre anni invece «si può discutere». Che l’intesa sia possibile lo si capisce anche dalle dichiarazioni del sottosegretario al Welfare Teresa Bellanova: «Il Pd è un partito che discute ma poi trova la sintesi, nel rispetto del lavoro che farà il Parlamento. Ci sono le condizioni per un testo condiviso».
Il sottosegretario parla esplicitamente anche di uno dei punti più controversi del provvedimento, l’apprendistato. È, riconosce, «uno strumento importante per entrare nel mondo del lavoro e la formazione ne è un punto essenziale. Per questo almeno una parte della formazione deve essere pubblica, demandata alle Regioni e armonizzata su tutto il territorio nazionale».

PAROLE distensive che piacciono all’ex ministro Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro della Camera e rappresentante della sinistra del partito: «Apprezziamo le dichiarazioni del sottosegretario. Anche noi chiediamo una quota di formazione pubblica e la standardizzazione da parte delle Regioni».
Le prove di intesa all’interno dei democratici irritano però profondamente gli alfaniani. Dice Maurizio Sacconi, presidente della commissione lavoro del Senato: «Premesso che il Pd non è il solo partito della maggioranza, è inaccettabile che esso pretenda di imporre a tutti le mediazioni al suo interno. Renzi ha giustamente ritenuto il dl lavoro provvedimento che deve offrire ai datori di lavoro e agli investitori regole semplici e certe per due fondamentali modelli contrattuali. Sarebbe una sconfitta per Renzi la rinuncia ad alcuni dei contenuti semplificatori annunciati, come ad esempio la reintroduzione dell’obbligo di formazione pubblica. Il Nuovo Centrodestra ribadisce: niente emendamenti!».
Il che significa un no netto anche alla riduzione delle 8 proroghe reclamata da Damiano e da tutta la minoranza del partito. C’è chi scommette che alla fine il numero possa scendere a 5-6. Il ministro del Lavoro non appare invece disposto a cedere sull’estensione da uno a tre anni della durata dei contratti a termine. E comunque appare intenzionato a cambiare lo scenario: «Il contratto di lavoro è un libro più grosso dei Promessi Sposi: 250 pagine, scritto piccolo e con annotazioni a margin. Ha cento anni. È ora di cambiarlo».

Olivia Posani