Lorenzo Bianchi
UN MILIZIANO incappucciato e armato lo ha malmenato e gli ha sparato due colpi alla tempia davanti alla chiesa di Bustan al-Diwan, sotto gli occhi di un gruppo di donne. Il padre gesuita Frans van der Lugt, 75 anni, olandese, l’unico occidentale che si era ostinato a restare nel cuore assediato e affamato di Homs, è morto sul colpo poco dopo le 8. Il suo corpo ora è in una bara sotto l’altare maggiore, gli occhi chiusi, un grande livido che gli macchia la fronte. Tre mesi fa aveva affidato a You Tube un appello disperato: «La gente non trova da mangiare. Niente è più doloroso che vedere le madri per strada in cerca di cibo per i loro figli. Non accetto che anneghiamo nel mare della fame, facendoci travolgere dalle onde della morte».

ALLA FINE di gennaio, ricostruisce monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, una colonna di aiuti umanitari del Programma Alimentare delle Nazioni Unite era riuscita a entrare in città e a raggiungere Bustan al-Diwan. «È un quartiere cristiano del centro — racconta Zenari — assediato dall’esercito di Damasco da 18 mesi. Nella stessa area c’è la cattedrale, danneggiata dai bombardamenti. Circa 1400 civili sono stati evacuati. Fra questi anche 40 cristiani su 64. Sono rimasti solo quelli che avevano difficoltà di camminare».
Frans van der Lugt non ha voluto abbandonare i correligionari e altre decine di musulmani che si erano rifugiati nella ‘Casa dei gesuiti’. Come ha detto il portavoce vaticano Federico Lombardi, anche lui della Compagnia di Gesù, «dove il popolo muore, muoiono con lui anche i suoi fedeli pastori». «I siriani — spiegava l’anziano gesuita — mi hanno dato tantissimo: tanto buon cuore, tanta ispirazione e tutto quello che hanno. Adesso soffrono. Devo condividere il loro dolore e le loro difficoltà». A febbraio erano rimaste a Homs, secondo la Mezzaluna Rossa solo 200 famiglie cristiane. «Nell’area — ricorda Zenari — vivevano circa centomila fedeli di quattro riti, cattolici e ortodossi». Hans van der Lugt era arrivato in Siria nel 1967. Il 10 aprile avrebbe compiuto 76 anni. Il responsabile dei progetti per i rifugiati di Homs, padre Ziad Hilal, avrebbe dovuto festeggiare il compleanno con il suo superiore. Ora può solo dettare un ricordo struggente: «Ha dato la sua vita non soltanto per i cristiani, ma anche per i musulmani. Non ha mai parlato di cose negative. Era sempre sorridente ed era lui a chiedere come stavamo. Si preoccupava di tutti, eccetto che di se stesso».
A Homs ieri è saltata in aria un’auto che i ribelli stavano imbottendo di esplosivo. Lo scoppio ha ucciso 29 persone. Il capo degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah in una rara intervista al quotidiano di Beirut as-Safir ha sostenuto che in Siria la «fase del rovesciamento dei regime o dello stato è terminata».