Nuccio Natoli
ROMA
OK

al Def (la vecchia manovra finanziaria), ma soprattutto un anno in più per centrare il pareggio di bilancio. A maggioranza assoluta Camera e Senato si sono schierati con il governo sulla lettera alla Commissione Ue per fare slittare dal 2015 al 2016 l’impegno dell’Italia sull’equilibrio tra entrate e uscite statali. Fino al 2015 resta solo l’obbligo di contenere il rapporto deficit/Pil sotto il tetto del 3%. Bruxelles ha risposto prendendo atto della «deviazione temporanea», ma sottolineando che una valutazione complessiva la farà il 2 giugno, anche se già in maggio saranno note le prime indicazioni sull’orientamento. Un giudizio negativo aprirebbe la strada a una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Con il via libera al Def il governo non ha più ostacoli a varare oggi il decreto fiscale con cui cominciare a tagliare il cuneo fiscale. Con il placet sullo slittamento del pareggio di bilancio l’esecutivo si assicura 12 mesi in più per le riforme. Prima del voto, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha spiegato che la scelta è legata a «una ripresa ancora fragile», a una situazione «difficile del mercato del lavoro», alla volontà di onorare l’impegno «sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione». In altre parole, ha fatto capire che nel prossimo anno e mezzo all’Italia serve più crescita e meno rigore.

LA PROMESSA

di una gestione rigorosa della cosa pubblica è tornata quando Padoan ha assicurato che non solo dal 2016 al 2018 il governo si ancorerà al pareggio di bilancio, ma che già dal 2015 conta di ridurre progressivamente il rapporto tra debito e Pil (oggi oltre il 130%) in direzione del 60%. La quadratura del cerchio si dovrebbe realizzare con «le misure correttive per i prossimi anni» e con un «piano di dismissioni di patrimonio pubblico e privatizzazione» da circa 11,2 miliardi l’anno dal 2015 al 2017. L’approvazione della lettera all’Ue ha provocato uno scossone politico. Essendo una deroga all’obbligo di pareggio imposto dall’articolo 81 della Costituzione, doveva essere approvata a maggioranza assoluta. Il che è avvenuto alla Camera con 363 sì (maggioranza 316), 114 no, 4 astenuti e al Senato con 170 sì (maggioranza 163), 87 no e un astenuto. Al Senato, no solo da 5 Stelle e Forza Italia. Per Gasparri (FI) si è materializzato un «cambio di maggioranza, senza i voti di Sel non ci sarebbe stata la maggioranza assoluta». «Non è vero — ha replicato Sacconi (Ndc) — si sono uniti solo 7 dell’opposizione, Calderoli, 3 Sel e 3 ex 5 Stelle».