CITTÀ DEL VATICANO
NELLA MAESTOSITÀ
solenne della basilica di San Pietro la denuncia di padre Cantalamessa scende giù ancora più dura: «L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali. Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?». Venerdì Santo. Il coro ha appena rievocato le dolorose tappe della crocifissione di Gesù, tragico epilogo del tradimento di Giuda Iscariota. Cardinali e vescovi di curia nei primi banchi sotto l’altare celebrano la memoria della Passione del Signore e ascoltano la Liturgia della Parola. Papa Francesco, con i paramenti rossi, presiede in silenzio. Ma tra le navate profumate d’incenso dell’antica basilica, quando Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, prende la parola per l’omelia, a espandersi è soprattutto l’eco delle cronache giudiziarie, degli scandali di corruzione, delle polemiche sulle remunerazioni d’oro dei top manager pubblici.

«NON È

già scandaloso — denuncia Cantalamessa — che alcuni percepiscano stipendi e pensioni cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze e che alzino la voce appena si profila l’eventualità di dover rinunciare a qualcosa, in vista di una maggiore giustizia sociale?». Ma come tutti gli idoli «il denaro è falso e bugiardo». Così ci tocca spesso, di questi tempi, di fronte a «uomini collocati in posti di responsabilità che non sapevano più in quale banca o paradiso fiscale ammassare i proventi della loro corruzione», ripensare al grido che Gesù rivolse al ricco della parabola, accumulatore di beni a non finire. «Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri?». Interrogativi pesanti. Tuttavia, «il dio denaro — ricorda il predicatore — si incarica lui stesso di punire i suoi adoratori». La preparazione alla Pasqua è tutta all’insegna dei temi della crisi e della giustizia sociale. Nella traboccante di folla Via Crucis col Papa al Colosseo, la seconda per Bergoglio, i crocifissi di oggi sono gli innocenti che muoiono per l’inquinamento nella Terra dei fuochi, gli immigrati che trovano la morte mentre scorgono la sponda di salvezza, i nuovi schiavi vittime della tratta, le donne abusate, i disoccupati angosciati dal lavoro negato, gli imprenditori angosciati dal non poterlo dare, i detenuti, troppe volte ammassati come bestie nelle carceri stracolme, i senzatetto, i cristiani perseguitati. Uomini e donne umiliati come umiliato era il volto di Cristo, sono loro a portare la croce di stazione, in stazione, quattordici in tutto.
Un percorso accompagnato dalle meditazioni di monsignor Bregantini, vescovo di Campobasso, la cui vicinanza al ‘gregge’ come pastore antimafia a Locri in passato e come ecclesiastico impegnato sui temi del lavoro ora, è in grande sintonia con lo stile di Bergoglio. «La vera meditazione della Via Crucis la fa il Papa con i suoi interventi e gesti quotidiani», spiega Bregantini, «ho cercato di farmi interprete di alcuni problemi di oggi, carcere, tortura, solitudine. Realtà di ogni giorno redente però dalla croce portata da Gesù».