Simone Arminio
BOLOGNA
«QUANTO

pane sprechiamo? Troppo, soprattutto se pensa che per il pane, ancora oggi, si fanno le guerre...». Per Andrea Segrè, inventore di Last Minute Market (l’associazione antispreco che dà nuova vita ai prodotti in scadenza) e presidente del Pinpass (Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, di recente portato a Strasburgo con l’intenzione costituire un osservatorio europeo sullo spreco), il pane, manco a dirlo, è un cruccio quotidiano.
Professore, ma quanto ne buttiamo?
«L’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market ci dice che il pane è il terzo alimento che gli italiani sprecano di più, dopo la frutta e la verdura».
In numeri?
«Ogni famiglia butta via il 28% del pane che acquista. È assurdo se pensa a quello che ci dicevano i nonni: il pane non si butta, mai».
È peccato, siamo d’accordo. Ma a far due conti il pane è anche il cibo che vale meno: vuol mettere a buttare il companatico?





«Eppure gli ultimi dati — cito Bologna —, ci danno una forbice di prezzi che varia da 1,19 euro fino a 4,95 euro al chilo».
Però dura poco. E alla gente piace fresco. Così lo ricompra.
«Ma per sua natura il pane non è affatto un bene deperibile! In passato, anzi, durava anche una settimana».
E poi cos’è successo?
«È calata la qualità, ed è calata l’attenzione al consumo. Si tende a privilegiare il pane caldo nei supermercati che, vista la richiesta, ne sfornano in continuazione, fino a poche ore dalla chiusura. Aumentando l’invenduto. Il problema, come vede, oltre che nelle abitudini, è nella filiera».
Serve una soluzione.
«Torniamo a farcelo in casa. Qualcuno lo sta già facendo, scambiandosi il lievito madre come fosse un prodotto clandestino».
Serve una soluzione più facile.
«Allora ripartiamo dalle scuole: insegnamo ai nostri figli il valore del pane, la cura nello sceglierlo e nel conservarlo».
Ce la caviamo così?
«Si parte sempre dall’educazione. Ma poi servirebbe anche obbligare i supermercati al recupero, attivando percorsi di riuso a km 0 come quelli di Last Minute Market. In più si potrebbe vietarne la produzione oltre un certo orario del giorno, per ridurre lo spreco e l’ansia del pane caldo. E occorrerebbe spingere su norme minime di qualità che riportino il pane alla sua durata originaria con l’uso di lieviti migliori e l’obbligo di un packaging che ne migliori la conservazione. Serve che il pane torni a essere il simbolo che era».