BRUXELLES, 26 APRILE 2014 - L’ITALIA, per ritardi o errori, rischia di perdere miliardi di euro per mancata erogazione di fondi comunitari. È un calcolo non semplice da fare con precisione, ma dall’esito certo: l’Unione europea stanzia fondi per il finanziamento di progetti e programmi di varia natura, ma l’Italia non si fa trovare pronta. Nel campo della ricerca l’Italia ha contribuito al 14% delle risorse del FP7, il programma quadro di ricerca per il periodo 2007-2013, ma ne ha sfruttato solo l’8%. Tradotto in cifre, in media abbiamo perso circa 500 milioni di euro l’anno tra domande non idonee o consegnate oltre i termini, per un totale di circa 3,5 miliardi di risorse perdute. Praticamente abbiamo incassato la metà di quello che avremmo potuto, dato che nei sette anni di riferimento l’Italia ha ricevuto circa 3,5 miliardi sui 38,5 complessivi del fondo europeo. «Nel complesso per livelli di finanziamento all’Italia non è andata male, ma ci sono comunque margini di miglioramento», sostiene Michael Jennings, portavoce del commissario europeo per la Ricerca, Maire Geoghegan-Quinn.

PIÙ ALTE rischiano di essere le perdite per i fondi strutturali. Qui il tallone d’achille è noto: l’Italia ottiene i fondi, ma o li spende male o non li spende affatto e deve restituirli. A oggi l’Italia ha perso 33 milioni di euro dal fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) per la mancata attuazione del programma operativo interregionale “Attrattori culturali”, ma il problema vero è che dopo sette anni dall’avvio del Fesr 2006-2013 l’Italia ha speso solo il 51,9% dei fondi chiesti e ottenuti. Insomma, bisogna spendere poco più di 16 miliardi entro il 2015. A differenza del fondo per la ricerca, i fondi regionali prevedono l’utilizzo dei soldi fino a due anni dopo la fine del ciclo di programmazione.

PER QUESTO la direzione generale per le Politiche regionali preferisce non sbilanciarsi, anche se fonti interne alla Commissione sostengono che l’Italia rischia di perdere tra uno e due miliardi di euro. Se così fosse, considerati i 3,5 miliardi di soldi già non sfruttati nella ricerca, il saldo negativo dell’Italia potrebbe oscillare tra i 4,5 e 5,5 miliardi. Ma non finisce qui, perché il Fesr non è che uno dei tre fondi strutturali per lo sviluppo regionale: ci sono anche il Fondo di coesione (per la promozione del territorio) e il fondo sociale europeo (per l’occupazione). Complessivamente l’andamento dell’Italia sull’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo regionale parla chiaro: 49,63% contro una media Ue del 66,29%. L’obiettivo è dunque fare meglio per il settennio 2014-2020, tenendo a mente che nel caso dei fondi strutturali l’Ue cofinanzia gli interventi: ciò vuol dire che una parte della somma necessaria la mette l’Europa, e una parte la mette l’Italia. Per cui se per via del patto di stabilità e l’elevato debito pubblico le amministrazioni non possono erogare il denaro, automaticamente si perde la quota europea. La perdita stimata da 5,5 miliardi, di per sé non indifferente, potrebbe crescere ancora di più: si tratta infatti di quote riferite a una parte dei programmi di finanziamento europei, quelli che dipendono dalle direzioni generali Ricerca e Politiche regionali. Complessivamente i fondi ancora inutilizzati ammontano a 30 miliardi di euro, inclusi quelli di cui si è parlato. Cattiva gestione dei fondi, vincoli di bilancio, domande di partecipazione presentate troppo tardi.

L’ITALIA perde soldi e terreno per questi motivi, ma c’è un fenomeno difficile da mappare che è quello delle risorse non spese perché mai chieste. La Commissione europea non può dire chi in Italia non faccia domanda, in Italia gli enti locali nemmeno, dato che spesso sono i privati (centri di ricerca, fondazioni, imprese, agricoltori) che si attivano. La direzione generale per l’Agenda digitale, pur non fornendo cifre, fa notare che se in Italia c’è forse poca attenzione per i fondi europei sicuramente c’è poca per certe aree quali la banda larga. Siamo ultimi per rete internet veloce (quella che trasmette informazione ad una velocità pari ad almeno 30 Mbps), e solo il 5% delle nostre imprese fa affari vendendo on line (peggio di noi solo la Bulgaria) contro il 26% delle imprese di Danimarca e il 27% di quelle di Svezia, i due esempi d’eccellenza. L’Ue ha appena bandito un concorso da 100.000 euro per lo sviluppo del portale europeo della banda larga. Il bando si trova su internet (http://ec.europa.eu/digital-agenda/en/news/european-broadband-portal-study-smart-20140015) e scade il 12 maggio. Un promemoria prezioso, soprattutto per l’Italia.

di Emanuele Bonini