Nella riforma del contratto di lavoro degli insegnanti a cui il ministero sta lavorando è prevista l’eventualità di collegare le retribuzioni al merito. Come si potrà valutare il loro operato?
«Verificare il funzionamento della scuola è possibile con due tipi di strumenti. Il primo è quello che valuta il livello di apprendimento degli studenti, come le prove Invalsi, che ti fanno capire se l’insegnante insegna bene. Il secondo è rappresentato dalla valutazione complessiva del lavoro che fa la scuola affidato al dirigente scolastico, ossia il preside, che deve rispondere del funzionamento complessivo della squadra. Lui deve poter e dover trovare strumenti di miglioramento. Questi due criteri serviranno a uscire dalla gabbia dello scatto stipendiale per anzianità».
Nella valutazione che prevedete di introdurre avranno parte attiva anche le famiglie?
«Certo, faremo una consultazione on line per capire quali sono, anche secondo loro, i criteri da usare per la valutazione dei professori. Già da ieri è operativo al ministero il ‘Cantiere scuola’ che ha lo scopo di raccogliere i punti di vista degli attori della scuola, dalle associazioni dei genitori agli studenti, docenti e sindacati, per avviare una riforma che vada verso una valutazione delle scuole».
Attualmente esistono delle forme di premio per i docenti?
«Sì esistono delle gratificazioni sui progetti specifici, come la valorizzazione della cultura storica, che comportano una piccola integrazione stipendiale. Noi andremo oltre, introducendo dei veri e propri strumenti di premialità».
A proposito del Tfa (tirocinio formativo attivo), chi ha superato la prima prova cosa porterà in concreto a casa?
«Rientrerà nelle graduatorie con un punteggio superiore di 36 punti, che corrispondono a tre anni di servizio. Potrà inoltre partecipare al concorso del 2015 che sarà bandito per 17mila posti di lavoro. Ricordo a questo proposito che coloro che hanno superato il precedente concorso del 2012, ma non sono stati ancora assunti, lo saranno in gran parte. Precisamente 6.500 idonei su 11.000, quindi i due terzi. Per il 50% si attingerà alle graduatorie, ma questo non basterà ovviamente a risolvere il problema dei precari. Quelli storici sono 165mila».
I laureati in scienze politiche lamentano il fatto che, essendo cambiata la normativa, non potranno più accedere alla scuola.
«Devono rivolgersi al Consiglio Universitario Nazionale, a cui spettano le prime valutazioni. Dopo il parere formulato da questo organo entra in campo il ministero».
C’è chi sostiene addirittura che varrebbe la pena abolire questa facoltà che in concreto sembra non offrire sbocchi professionali.
«Credo che la cosa giusta da fare sarebbe quella di far capire i ragazzi quanto sia importante fare una scelta ben ponderata quando si sceglie l’università. Forse se diminuisse il numero degli studenti di scienze politiche, quelli veramente motivati avrebbero più possibilità di trovare un lavoro».











Testi raccolti da Paola Pasquarelli