Lorenzo Sani
BOLOGNA
LA REVOCA

della scorta «per cessate esigenze di sicurezza» è fin dalle primissime battute un passaggio chiave nell’omicidio di Marco Biagi. La polemica fu immediata, col ministro Scajola nell’occhio del ciclone. Biagi temeva di essere ucciso, ha chiesto aiuto al titolare del Welfare di cui era consulente, Roberto Maroni e bussato a molte altre porte. Inutilmente. Questo fuoco incrociato di accuse, che legano in una stretta relazione di causa-effetto l’azione terroristica alla mancanza di protezione, è ben evidenziato anche sul nostro giornale che andò in edicola il 20 marzo, all’indomani dell’agguato Br in via Valdonica a Bologna. Nel servizio, ampia traccia di quello che sarà il leit motive delle settimane successive: lo scaricabarile delle responsabilità tra organi centrali e periferici dello Stato, tra gli Interni e le prefetture.

GIÀ

a caldo Maroni dichiarò di aver «chiesto più volte al Viminale di ripristinare la scorta». Nel servizio che ripercorre questo aspetto rilevante della vicenda si ricorda che una settimana prima che i brigatisti passassero all’azione c’era stata la segnalazione dei servizi che «individuava in una stretta cerchia di tecnici e consulenti del ministero del Lavoro il prossimo obiettivo delle nuove Br». Relazione semestrale che non sarebbe mai arrivata in questura a Bologna. Giorno dopo giorno i particolari che emergono sulle pagine del giornale vanno ad arricchire un mosaico definito di sottovalutazioni, negligenze, difficoltà di raccordo. Sullo sfondo la disperazione di Marco Biagi: «Questi mi vogliono morto», raccontarono alcuni testimoni che lo sentirono alzare la voce al telefono dell’Università di Modena, lo stesso giorno in cui fu ucciso. «È finita come Marco temeva», lo sfogo in lacrime con i poliziotti della Digos della moglie Marina Orlandi. Nell’edizione di sabato 23 marzo si riferisce dell’aut aut che la donna pose al marito, facendo proprie le sue preoccupazioni: «O questa scorta te la danno, oppure devi dimetterti».
Chi si assunse la decisione di togliere la scorta a Marco Biagi? Il 28 marzo l’inchiesta voluta dal ministro Scajola e condotta dal prefetto Roberto Sorge, che aveva sentito prefetti e questori di Milano, Bologna e Modena arrivò alla conclusione che «fu Roma a insistere perché fosse revocata la scorta a Biagi». Ma nessuno pagò, per questo. La decisione di revoca è del 9 giugno, scrive il nostro giornale. Successivamente l’ufficio Ordine Pubblico del Viminale invia una nota riservata a questori e prefetti delle tre città e per conoscenza anche alla prefettura di Roma, sollecitando chiarimenti sul perché fosse stata mantenuta la scorta a Biagi. La pressione da Roma era davvero forte. Il 21 settembre il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Bologna si riunisce per valutare la situazione e decide la revoca della tutela. Scrive il giornale che il prefetto Jovino non è molto convinto, ma si adegua alla maggioranza. Il giorno seguente Maroni mette di nuovo Scajola con le spalle al muro: «Chiesi la tutela di Marco Biagi al Viminale il 29 agosto. Inviai una nota alla Prefettura di Roma». Tutto già scritto, tutto documentato, tutto pubblicato.