SERVE una politica di difesa europea. Vanno ridiscusse le regole di ‘Dublino 2’ sul diritto d’asilo. E sugli F35 valuteremo se e quanti ne servono: entro dicembre finiremo il libro bianco e decideremo. Parola del ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Ministro Pinotti, il governo Renzi va in Europa sull’onda di un successo inatteso. Riuscirà a cambiare un po’ il verso a una Europa che lascia sulle nostre spalle il peso di operazioni umanitarie come Mare Nostrum?
«Ci sarà una ricaduta positiva e possiamo cominciare a spendere da subito lo straordinario risultato ottenuto, perchè il primo luglio inizia il semestre di presidenza italiana».


Ma chiederemo di ridiscutere Frontex e le regole europee sull’asilo?

«Da europei prima ancora che da italiani proporremo che si affrontino i temi dell’immigrazione, dell’agenzia europea Frontex e del diritto d’asilo. Non può essere lasciato sulle nostre spalle tutto l’onere del salvataggio. Quanto al diritto d’asilo, noi riteniamo che soprattutto in situazioni di emergenza umanitaria come quella attuale sia abbastanza insensato sostenere che sia il paese di sbarco quello che deve sempre e comunque farsi carico dell’accoglienza del profugo. Questo si può e si deve ridiscutere. E non appena le condizioni a Tripoli lo consentiranno, dobbiamo avviare assieme all’Onu un meccanismo che consenta il riconoscimento dello status di rifugiato già in Libia».
Sull’immigrazione proveremo a farci sentire, ma che ne è di progetti più am
biziosi come la difesa comune europea?
«La crisi dell’Europa è determinata dal fatto che in questi anni si è fatta una Europa limitata alle regole, che appare poco vicina ai cittadini. Le due cose di cui abbiamo più bisogno adesso sono indubbiamente la crescita ma anche far vivere agli europei degli elementi di identità. Da tanto tempo si dice che la politica estera e di difesa potrebbe essere il passaggio successivo. E io credo che questo sia il momento».
Paesi come la Gran Bretagna non accetterebbero mai.
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Avere tutti, è complicato. Ma non serve che tutti partecipino. Per effetto dell’articolo 4 si possono utilizzare delle cooperazioni rafforzate. E parlo di cooperazione non solo in progetti industriali, ma anche di capacità operative. Ad esempio il trasporto aereo militare potrebbe essere in parte comune. O potremmo avere battle group realmente flessibili e a carico del bilancio europeo, da usare in aree di crisi. Noi lo chiederemo».
Manterremo le grandi missioni all’estero — Afghanistan, Libano, Kosovo — o le rimoduleremo?

«L’Italia partecipa alle missioni all’estero per solidarietà verso quei paesi e per garantirci più sicurezza. Certo, se l’Italia decidesse di non partecipare alle missioni, all’interno delle alleanze non conterebbe più nulla. Finiremmo per farci proteggere dagli altri. Resteremo in Libano. In Kosovo ridurremo i numeri e in Afghanistan, dove la missione attuale finirà, in quella che dovrebbe nascere, il nostro contributo, che dovrà essere approvato dal Parlamento, sarà molto minore e diverso».
Negli ultimi 10 anni l’Italia ha tagliato del 26% le spese della Difesa. Se stringiamo la cinghia, possiamo permetterci gli F35?

«Siamo i primi a sapere di dover fare la nostra parte. Sul provvedimento degli 80 euro il ministero ha messo sul piatto 400 milioni di tagli, compresi 153 milioni destinati a dei lotti di F35. Io capisco che in un momento nel quale il Paese soffre gli armamenti appaiano superflui, ma la difesa funziona se sembra che non ce ne sia bisogno. Purtroppo al mondo non sono tutti buoni, e gli assetti servono. Su un programma di questa portata non si può giocare ai dadi dicendo numeri a caso. Io ho detto: usciamo dalla demagogia e vediamo se ci servono e quanti ce ne servono. Lo faremo con il libro bianco che sarà pronto entro dicembre. Cioè, a breve».
Ultima questione, i marò. Con i nazionalisti al potere a Delhi tutto sembra più complicato..
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«Ci sono pareri discordi. Noi siamo molto scontenti e abbiamo deciso la strada dell’internazionalizzazione. L’ultimo atto prima di arrivare all’arbitrato è uno scambio di punti di vista tra i due paesi. È quello che stiamo facendo e ci auguriamo che il nuovo governo indiano comprenda le nostre ragioni. Sennò, andremo all’arbitrato».