CORRADO Passera parte da una constatazione: «Mentre con Renzi l’area socialista si è riorganizzata, il voto europeo dimostra che l’area del centrodestra è caratterizzata da un grande vuoto che gli attuali contenitori politici non sono in grado di riempire». Riempire quel vuoto rimotivando al voto gli elettori di centrodestra defluiti nell’astensione è il vasto programma che l’ex McKinsey, ex Cir, ex Banco Ambrosiano, ex Poste, ex Banca Intesa ed ex ministro per lo Sviluppo attribuisce al movimento politico che ha fondato e che debutterà il 14 giugno: Italia Unica.
Dottor Passera, se ci sono due cose che a torto o a ragione gli italiani oggi detestano sono i banchieri e il governo Monti: lei le riassume entrambe, sicuro di avere il profilo giusto per rappresentare la metà del Paese?

«Eviterei di parlare per categorie. Rivendico i miei dieci anni di banca sui trenta di lavoro: se tutte le grandi banche fossero state gestite come io ho gestito Banca Intesa, ci saremmo risparmiati la crisi finanziaria. Ma altrettanto importante è stata l’esperienza in Poste, dove credo di aver dimostrato che è possibile ridare efficienza e dignità al pubblico impiego».
E il governo Monti?
«Ne ho condiviso la prima fase, quella delle riforme che evitarono il commissariamento dell’Italia. Non ho condiviso la riforma del lavoro, non ho apprezzato la mancanza di coraggio sullo sviluppo».
Considerando che lei era ministro dello Sviluppo...
«Guardi che vado orgoglioso di quel che ho fatto: una strategia energetica nazionale, norme per facilitare le start up, l’apertura del mercato del credito con i minibond, lo sblocco e il finanziamento di 50 miliardi di cantieri...».
La sua iniziativa evoca la scesa in campo di Monti e il vorrei ma non posso di Montezemolo.





«No, guardi, a suo tempo rifiutai il ruolo di coordinatore di Scelta civica proprio perché Monti, Montezemolo, Fini e Casini ebbero paura di creare qualcosa di nuovo preferendo invece sommare quel che di vecchio già c’era. Il mio progetto è diverso».
Se l’offerta politica non muterà, dovrà allearsi con chi c’è.
«Lo escludo: non si fa il nuovo con il vecchio. Ho fatto un giro d’Italia in 30 tappe per ascoltare i problemi del Paese e metterne in luce le molte eccellenze, il 14 lanceremo un programma che nei sei mesi successivi sarà valutato e corretto dagli italiani attraverso i media civici. Mi rivolgo alla nazione, non al ceto politico: a decidere del nostro futuro saranno gli elettori».
Lei è un bipolarista?
«Sì, ma il bipolarismo va costruito escludendo la sinistra ideologica e la destra xenofoba».
Di là c’è Renzi, politico puro e giovane...





«Capisco dove vuole arrivare, ma dissento: se leader e programmi si assomigliassero, che senso avrebbe il bipolarismo? Preferisco distinguermi dai populismi. L’alleanza Berlusconi-Lega testimonia la debolezza del primo ed è a tutto vantaggio della seconda, il Nuovo centrodestra è asservito al governo Renzi... Mi pare che lo spazio ci sia e che sia enorme».
Perché un noto e strapagato manager come lei insiste nel cercare un ruolo politico?
«Chi mi conosce non si sorprende. I miei genitori mi hanno insegnato che oltre alla famiglia e all’impresa c’è la comunità: amo l’Italia e credo di avere l’esperienza necessaria ad evitare un futuro di poverà al nostro Paese».