dall’inviato Lorenzo Sani

VENEZIA, 7 GIUGNO 2014 - TUTTO ebbe inizio (quasi) per caso. Era il 6 marzo 2008: una verifica fiscale alla cooperativa San Marco, pianeta della galassia rossa Coveco, a sua volta facente parte del Consorzio Nuova Venezia (Cnv), scoprì l’esistenza di documentazione extra contabile. Due fatture, una delle quali di una società austriaca con sede a Villach: da quel granello di sabbia nel deserto magistrati, investigatori e polizia tributaria hanno fatto emergere una sofisticata macchina che ha creato solo attorno al Mose almeno 25 milioni di fondi neri. Ma le indagini vanno avanti e chissà quali altri clamorosi retroscena sveleranno.

DENARO liquido che, secondo l’accusa, serviva per comprare politici, alti ufficiali, burocrati, magistrati, chiunque, in Veneto o a Roma, si trovasse in qualche modo sulla rotta delle dighe galleggianti che dovrebbero proteggere la Laguna. Il «sistema» creato dal numero uno del Cnv, l’ottuagenario Giovanni Mazzacurati, padre di Carlo, il bravo regista scomparso lo scorso gennaio, è stato spiegato per filo e per segno da Piergiorgio Baita, ad di Mantovani Group, una delle più importanti aziende del Consorzio, primo arresto eccellente nel febbraio 2013, uscito dall’inchiesta patteggiando un anno e dieci mesi.

NEL MEMORIALE che ha consegnato ai magistrati, anche lo stesso Mazzacurati ha confermato tutto per filo e per segno. «La dizione false fatturazioni è un po’ generica, ma il complesso delle operazioni era comunque finalizzato alla creazione di fondi extra bilancio», ha spiegato Baita nell’interrogatorio del 28 maggio 2013. «Quando ho saputo che eravamo subentrati a Impregilo l’ingegner Mazzacurati mi ha chiamato e mi ha detto se, al di là dei documenti del subentro, ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Consorzio, cioè di quegli impegni, chiamiamoli così, non trasferibili in atti statutari».
Ecco, gli impegni. Baita ha riferito ai magistrati che prevedevano la restituzione in contanti al fondo creato da Cnv, di una parte delle fatture gonfiate, o per lavori in realtà mai realizzati. Seguendo un vero e proprio schema in base al quale la retrocessione a Cnv dei ricavi dei lavori in sasso era pari al 5-6% dei ricavi, che saliva al 50-60% nei contratti per prestazioni di servizio e nelle istanze di anticipazioni di riserve. Una immensa disponibilità di denaro pubblico, fuori bilancio e in contanti, che finiva in buste, valigette, pacchi che partivano da Venezia per spianare le montagne della burocrazia, della politica, delle autorizzazioni, dei controlli.

«L’INGEGNER Mazzacurati si rapportava con le tre imprese maggiori del consorzio, più il gruppo delle cooperative rosse che, pur non avendo una quota rilevante, era molto rilevante negli equilibri generali», racconta Baita nella voluminosa ordinanza di custodia che ha portato ai 35 arresti.
Mazzacurati, secondo la testimonianza di Baita, «convocava a due alla volta questi dirigenti e quando raggiungeva l’accordo dava il via libera all’operazione». Sintomatico il clima in cui maturavano certe delicate decisioni, come corrompere il tal politico, il tal funzionario della pubblica amministrazione, o il tal magistrato.
«Fra noi ci controllavamo un attimo: siccome venivano usati i fondi del Consorzio, cioè fondi di tutti noi, c’era il sospetto che qualcuno cercasse di barare al gioco». Baita ha spiegato anche a cosa servivano tutti quei soldi.
«Al cosiddetto ‘fabbisogno sistemico’, cioè il pagamento periodico di tutta una serie di persone, che è cresciuto sempre di più negli anni», ma anche per «il pagamento episodico, ma regolare» che per certi aspetti sfiora l’ossimoro «e il pagamento di particolari episodi, le cosiddette emergenze».

BAITA ha sottolinerato che «una fonte molto onerosa è stata la verifica della Corte dei Conti, alla quale provvedeva direttamente l’ingegner Luciano Neri (quello del famoso ‘fondo Neri’), che aveva delle relazioni all’interno della Corte dei Conti. In occasione di ogni registrazione di convenzione c’era una richiesta importante di fondi».