Elena G. Polidori
ROMA
NICHI VENDOLA

lo ha chiamato «il giorno più difficile», ma pare di capire che non sia neppure l’ultimo per Sel. Il partito perde i pezzi — e ne perde tanti — all’indomani della spaccatura avvenuta sulla linea da tenere sul voto al decreto Irpef. Anche se, forse, l’episodio ha semplicemente fatto detonare una distanza tra Vendola e una parte di Sel, capitanata dall’ormai ex capogruppo, Gennaro Migliore, che covava da tempo. E così ieri, dopo una riflessione «amara», prima Migliore, poi Claudio Fava, si sono dimessi dal partito. Li seguiranno a breve Titti Di Salvo, Ileana Piazzoni, Nazareno Pilotti, Stefano Quaranta, Alessandro Zan e Fabio Lavagno. I primi, dicono, di un drappello destinato ad ingrossarsi e (forse) a creare un gruppo autonomo per poi confluire (probabile, ma non certo) nel Pd. Più complicato capire, al momento, cosa accadrà agli eletti di Sel in Senato (sono 7, con 4 di loro che già hanno tentennato sempre sul decreto Irpef), ma la scissione si consumerà probabilmente in più tappe. Mercoledì è convocata una direzione del partito, dove Vendola cercherà di arrestare l’emorragia. «È un errore politico, spero ci ripensino — ha commentato il leader — oggi siamo feriti, ma restiamo all’opposizione». La crisi che si è aperta potrebbe anche portare alle dimissioni dello stesso Vendola, che si è detto disponibile a farsi da parte, ma è la discussione sulla linea politica a rendere incandescente il clima e difficile la ricomposizione. «La forza di sinistra — ha spiegato infatti Vendola — penso debba essere anticonformista; immaginare che questa bussola possa portare a sostenere Renzi credo sia uno sbandamento. Non vogliamo entrare nell’area del governo, questo l’oggetto della divisione. Dobbiamo rimanere all’opposizione per sfidare Renzi». Non la pensa così Migliore, stropicciato da Vendola con l’accusa di aver «sequestrato» la linea politica del partito con quel voto favorevole al decreto Irpef.

PAROLE

a cui Migliore ha replicato in modo secco: «È venuta meno la fiducia con il partito; ho cambiato idea sulla possibilità che mie posizioni siano compatibili con l’appartenenza al nostro partito. Per la mia storia, non vado ‘dove mi porta il cuore’ (come aveva detto Vendola, ndr), ma sapendo che ‘il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce’». Una «scelta dolorosa» anche per Claudio Fava, che non intendeva rassegnarsi «alla deriva minoritaria» imposta da Vendola. Difficile, ora, pensare che il leader possa frenare la frana, anche se ieri ha lanciato un ultimo appello: «Voglio bene a Migliore, per me è come un figlio. Non permetterò che questa comunità venga archiviata per colpa del renzismo». Renzi, dalla sua, intanto apre le porte ai ‘miglioristi’: «Rispetto il travaglio di Sel, ma chi guarda al Pd troverà un partito aperto, attento alle diverse sensibilità».