Nina Fabrizio
CASSANO ALLO JONIO (Cosenza)
PRIMA,

con il pensiero rivolto a Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato dalle cosche in un atroce delitto di mafia, il suo grido affinché mai più ci siano vittime di ’ndrangheta. Quindi, di fronte a oltre 250mila fedeli accorsi da tutta la Calabria, il suo anatema contro i mafiosi adoratori della strada del Male: «Non sono in comunione con Dio, sono scomunicati!». Parole durissime, che vanno persino oltre l’appello alla conversione pronunciato nel marzo scorso incontrando a Roma le vittime di mafia, e che segnano la quarta visita pastorale di Francesco in Italia, ieri a Cassano all’Jonio.
Da una terra ferita dal malaffare delle cosche, afflitta da gravi problemi sociali come l’emergenza disoccupazione (al 70% quella giovanile) e al tempo stesso animata da un forte desiderio di riscatto, Bergoglio non ha fatto mancare un’inequivocabile condanna della malavita come il suo incoraggiamento a un nuovo orizzonte di speranza, entrambi tanto attesi dalla popolazione.

SBARCATO


di buon mattino tra i detenuti del carcere di Castrovillari, il Papa ha esortato le istituzioni a rispettarne i diritti e il necessario reinserimento sociale. Qui, in un momento toccante, ha incontrato le nonne, la mamma e il papà di Cocò. «Basta vittime di ’ndrangheta — sferza Bergoglio —, mai più un bambino subisca queste violenze». Quindi, prima dell’incontro con i malati terminali dell’hospice di Cassano, abbracciati uno a uno, e prima di immergersi nei tanti bagni di folla della giornata, proprio ai detenuti Francesco confida: «Pregate per me perché anche io faccio i miei sbagli e devo fare penitenza». A pranzo condivide il pasto con i poveri e gli ex tossicodipendenti della comunità Saman: «Forte è colui che una volta caduto riesce a rialzarsi», li incoraggia. Quindi, il grande appuntamento con i fedeli calabresi nella messa celebrata dalla Piana di Sibari. «La malavita si nutre di coscienze addormentate», non ultime quelle della Chiesa, denuncia il vescovo di Cassano e segretario della Cei (scelto da Francesco), monsignor Nunzio Galantino. Poi l’affondo del Papa che scolpisce il suo anatema con parole pronunciate a braccio, in aggiunta al testo scritto: «Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione». Dalla folla si levano applausi.

«LA ’NDRANGHETA

— tuona il Papa — è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Un male che va combattuto, allontanato, bisogna dirgli di no!». Francesco chiama in causa anche la Chiesa «tanto impegnata nell’educare le coscienze» ma che «deve spendersi di più». A chiederlo sono quei giovani cui Bergoglio rilancia uno degli slogan centrali del suo pontificato: «Non fatevi rubare la speranza» e aggiunge: «Opponetevi al male e alle ingiustizie». Quindi, con voce sommessa ma ferma, emette la condanna definitiva: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati»