Antonella Coppari
ROMA
DODICI ORE

dopo la presentazione della nuova riforma del Senato, il ministro Boschi volge lo sguardo sull’Italicum e apre sulle liste bloccate: «Le preferenze? Si può discutere di tutto. Ma la legge elettorale deve garantire a chi vince la possibilità di portare avanti con stabilità i propri programmi». Alla vigilia del summit con i grillini, piomba sui palazzi questa sorpresa che, naturalmente, ognuno declina a modo suo. Al Nazareno assicurano che non poteva fare diversamente, qualcosa sul piatto bisogna mettere, non si può rispondere picche a qualsiasi proposta di M5S, (diviso, peraltro, sull’opportunità del confronto), ma «dialogare non significa accettare». Ci sono quelli convinti che sia qualcosa di più: certe dichiarazioni sono state lanciate da Massa Marittima, durante un convegno del Pd, dove c’è sensibilità per un argomento su cui il neopresidente Orfini invita a «riflettere». Almeno altrettanta attenzione c’è per la previsione dell’immunità per i senatori («non aiuta la legalità», sottolinea Civati) nell’ultimo testo, principio su cui la Boschi demanda ai relatori provocando la secca reazione di uno dei due: Calderoli. «Togliamola anche ai deputati». Certo è che, per quanto Palazzo Chigi grondi scetticismo, se Renzi riuscisse a coinvolgere (direttamente o con i suoi plenipotenziari: martedì deciderà la formazione) M5S sarebbe un trionfo. «Spero l’incontro sia proficuo e sereno — sottolinea la titolare del dicastero riforme — ma non possiamo ricominciare da capo». Di sicuro, non ci pensa Forza Italia: «Abbiamo approvato con grande fatica l’Italicum alla Camera, non è il caso di riprendere in mano l’argomento», afferma il capo dei senatori Romani.

GLI AZZURRI

sono in fibrillazione per il nuovo Senato tanto che lo stesso Romani — interlocutore oramai quotidiano della Boschi — invita a frenare gli entusiasmi: «Tutti parlano di accordo fatto sulle riforme. Abbiamo fatto progressi, ma non siamo all’ultimo metro. Rimane molto da fare». Valutazione differente da quella del ministro per cui «c’è stato un passo decisivo» e si va «verso la votazione finale a luglio»; dietro certe titubanze i maligni vedono un legame con i problemi giudiziari dell’ex Cavaliere, che — dicono — potrebbe voler aspettare di vedere «almeno» come finirà a Napoli la vicenda della presunta incriminazione per oltraggio alla corte se non l’esito del processo Ruby. Nel cerchio magico giurano che non c’entra nulla, l’accordo politico resiste anche perché non si può affossare la grossa apertura di credito di Renzi che considera l’ex premier l’interlocutore privilegiato a discapito di Lega e grillini: «FI rappresenta milioni di voti», conferma Boschi. Epperò, assicurano i tecnici azzurri, ci sono dettagli da risolvere. Il più intricato riguarda il numero dei consiglieri delle grandi regioni del Nord (dove FI è in grado ancora di dire la sua) che vogliono aumenti a discapito di quelle piccole (Umbria, Basilicata, Valle d’Aosta, Molise) dove la sinistra storicamente è forte: «Così possiamo avere una chance nella nomina del capo dello Stato». Premesso che continueranno a battersi per il presidenzialismo, senza le modifiche chieste Romani assicura che faranno subemendamenti, previa riunione degli organi del partito.