Antonella Coppari
ROMA
DOVEVA

essere un incontro di pura propaganda, invece si è trasformato in qualcosa di più. Fermo sulle sue posizioni sulla riforma elettorale, Renzi ha fatto una timida apertura a proposito di preferenze: «Ne possiamo discutere se accettate che la legge sia maggioritaria e si regga sul principio che chi vince, governa». I grillini, un po’ a sorpresa, hanno fatto capire che su doppio turno, ballottaggio e governabilità non sono poi così chiusi. Di Maio — vicepresidente della Camera e capo delegazione — l’ha sussurrato un paio di volte, e il premier non ha perso l’occasione per sottolinearlo. Si sono lasciati con l’ipotesi di rivedersi previo disco verde all’agenda (in cinque punti) che Matteo — contrario al «Democratellum-Toninellum» di M5S — posterà nel week end sul web. Al netto delle punzecchiature reciproche, nel merito non è ancora cambiato nulla, ma per la prima volta i cinquestelle hanno mostrato disponibilità a ragionare di ciò che interessa al premier. Il quale sottolinea soddisfatto il cambio di passo e di clima: «Basterebbe ripensare allo streaming di un anno fa». Mostra di non credere più di tanto all’apertura di un forno grillino, che pure gli fa gioco: «Per loro chi vince le elezioni non deve automaticamente governare e questo la dice lunga sulla loro idea di cambiare il Paese», commenta con i suoi. Quindi la via maestra resta l’Italicum per forza di cose: «L’asse delle riforme passa ancora per il patto del Nazareno».

PAROLE

che rasserenano fino a un certo punto Forza Italia (c’è chi non esclude contatti diretti tra l’ex Cavaliere e Renzi, e chi rilancia l’ipotesi di un nuovo summit tra i due) anche perché fanno il paio con la richiesta del Rottamatore ai cinquestelle di dialogare sulle riforme costituzionali. Lo scenario che possa puntare su un tavolo a tre gambe (Pd, M5S e FI) rendendo gli azzurri marginali e magari portarli presto a votare è duro da digerire. Come lo è il compiacimento esibito da Grillo: «La nostra proposta si è capita benissimo», commenta con i suoi. A peggiorare gli umori, il fatto che — malgrado la contrarietà esibita dal premier ad allungare i tempi — il voto in commissione Affari costituzionali sugli emendamenti inizi lunedì. È vero che lo slittamento è dovuto alla necessità per il governo di trovare un accordo sulla composizione del Senato con FI (secondo cui il numero dei consiglieri inviati dalle Regioni deve essere proporzionale al numero di abitanti) e di sciogliere il nodo dell’immunità per cui sembra sfumare l’ipotesi di affidare il filtro alla Consulta. I relatori, Finocchiaro e Calderoli, rilanciano la palla a Boschi e Renzi che vorrebbero rinviarla all’Aula. Sta di fatto che Romani, capo dei senatori Fi, per conto del suo leader con cui ha pranzato assieme a Verdini, preme l’acceleratore sull’Italicum dicendo che il partito è pronto a votarla in tempi brevi. Assieme alle voci insistenti di un imminente stravolgimento di quel testo, cresce il terrore tra i berlusconiani che la tela pazientemente tessuta dallo stesso Verdini e Gianni Letta (protagonista di un fugace incontro con il premier in una libreria a ridosso di Palazzo Chigi) potrebbe finire al macero per far spazio a un accordo con M5S. Non meno tesi gli alfaniani, che si sentono relegati in un angolo e rilanciano in un emendamento l’elezione diretta dei senatori.