VENEZIA, 29 GIUGNO 2014 - GIORGIO Orsoni non è ancora uscito dalla bufera dell’inchiesta Mose. La porta per lui l’ha rinchiusa il gup di Venezia, respingendo l’ipotesi di patteggiamento a 4 mesi di reclusione, più 15mila euro di multa, su cui l’ex sindaco si era accordato con i pm. Una pena «incongrua rispetto alla gravità dei fatti», ha spiegato senza metafore il giudice Massimo Vicinanza. Si riparte da capo, o meglio, da zero: perché a questo punto il patteggiamento scompare dall’orizzonte di Orsoni e dei suoi difensori e l’ex sindaco dovrà difendersi nel processo dall’accusa di finanziamento illecito che ha posto fine alla sua avventura politica.

«ORA posso finalmente difendermi», ha commentato poco dopo il pronunciamento del gup. «L’esito dell’udienza odierna — ha aggiunto — era prevedibile in relazione all’entità delle accuse rivolte, al clamore che ne era seguito anche in relazione allo sproporzionato uso della misura cautelare». «La scelta di accettare il patteggiamento proposto dalla Procura — ha insistito Orsoni — era stata dettata dalla necessità di tutelare l’Amministrazione, ben consapevole della assoluta infondatezza dei fatti addebitati». Parole che, si è appreso, non sarebbero piaciute ai pubblici ministeri, che pure avevano acconsentito al suo patteggiamento con la giustizia. Il legale di fiducia dell’ex sindaco, Daniele Grasso, si è detto convinto che ci siano «comunque le condizioni per affrontare un processo; il patteggiamento ormai non esiste più».

FINO a oggi l’uscita anticipata di Orsoni dall’inchiesta non dispiaceva alla pubblica accusa. Secondo i pm Stefano Ancillotto e Stefano Buccini era preferibile «una pena certa oggi, anche se minima, piuttosto che una pena più pesante alla quale probabilmente non si sarebbe mai arrivati, considerato il rischio di prescrizione del reato». Giorgio Orsoni era stato posto ai domiciliari il 4 giugno scorso, con l’ondata di arresti fatti scattare dalla procura per gli appalti Mose. L’ipotesi di finanziamento illecito riguarda 260mila euro per il sostegno alla campagna elettorale del 2010 con cui l’avvocato amministrativista aveva conquistato Ca’ Farsetti.

IL GRANDE accusatore, anche nel suo caso, era l’ex capo del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che tuttavia aveva parlato ai magistrati di una somma ben più corposa. Dopo lo choc del provvedimento cautelare, per Orsoni c’era stato il turbillon del ritorno in libertà, le dimissioni da sindaco, l’appassionata difesa pubblica davanti al Consiglio comunale di Venezia. Nel mezzo lo scarico di responsabilità sui vertici del Pd veneziano, e il benservito a Orsoni da parte di Renzi.
r. po.