BERGAMO, 29 GIUGNO 2014 - QUELLA di venerdì è stata una lunga serata anche per loro. Bombardati dalle telefonate dei giornalisti, Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, difensori di Massimo Giuseppe Bossetti, si saranno chiesti se sull’inchiesta e di conseguenza sulla loro fatica professionale non fosse calata una sorta di pietra tombale. «Segreti e delitti», la trasmissione di Canale 5, mandava in onda una intervista al professor Fabio Buzzi, responsabile dell’Unità operativa di medicina legale e scienze forensi dell’Università di Pavia. Clamorosi i contenuti, confermati anche in una intervista al nostro giornale: fra le formazioni pilifere (capelli e peli) trovati sul corpo di Yara e attorno, alcune appartenevano a Bossetti, il Dna ricavato coincideva con quello di «Ignoto 1». Poi la raffica delle smentite, proseguita anche nella mattinata di ieri.

IL CONSULENTE nominato dalla Procura di Bergamo, Carlo Previderè, ricercatore responsabile del laboratorio di genetica forense (parte della struttura di cui è a capo Buzzi), puntualizzava che la relazione non era stata ancora depositata e precisava: «Degli accertamenti me ne sto occupando io assieme a una collega e il professor Buzzi non ha avuto alcun incarico in questo senso».
«Andate avanti». È un Bossetti provato dalla detenzione ma determinato, quello che si congeda dai suoi difensori dopo due ore di colloquio nel carcere bergamasco di via Gleno. Sono giorni di intenso lavoro per l’avvocato comasco Salvagni e la bergamasca Gazzetti, che ieri mattina, prima di raggiungere la casa circondariale si erano presentati in Procura. L’autoconsegna del silenzio più impenetrabile. I legali sono intenzionati a nominare tre consulenti: un genetista, un medico legale, un criminologo. La presenza del primo potrebbe fare pensare alla richiesta di nuove analisi del Dna, magari formalizzate con la formula dell’incidente probatorio. Quanto alle altre due, era stato lo stesso Bossetti a prospettare ai difensori «elementi interessanti» da approfondire.

GLI AVVOCATI lavorano al ricorso al tribunale del Riesame di Brescia per chiedere la scarcerazione. Vogliono sfruttare al massimo il lasso di tempo a disposizione (i termini per il ricorso scadono domani), consapevoli come sono di essere impegnati in una difficilissima partita a scacchi. Quella che non crolla è la fiducia nel loro assistito, nella sua completa estraneità alla tragedia di Yara: «Siamo convinti della sua innocenza».

Gabriele Moroni