Belo Horizonte
IL CRISTO
Redentore è un simbolo che funziona. E’ dall’inizio dei Mondiali che la statua del Corcovado è tirata di qua e di là dai tifosi dei cinque continenti: la usano per fotomontaggi che siano di buon auspicio. Ma non c’è niente da fare: il Cristo di Rio de Janeiro tifa Brasile. Se prima c’erano dei dubbi, ora è tutto chiaro. Perché non ha mica fatto tutto da sola, la squadra di Felipone Scolari, che davanti a 58mila spettatori sull’orlo di una crisi di nervi è passata ai quarti di finale grazie ai calci rigori, eliminando un Cile con un cuore grande così. E’ stata tutta una questione di dettagli. E di destino. Quello che a dieci secondi dalla fine dei tempi supplementari — col risultato bloccato sull’1-1 dopo i gol di David Luiz e Sanchez — ha spedito a schiantarsi sulla traversa una «bomba» di Pinilla e che all’ultimo rigore della serie ha indirizzato sul palo interno alla sinistra di Julio Cesar il tiro di Diaz. Poi ecco il pallone attraversare tutto lo specchio della porta, senza mai entrare in rete. Sospirone di sollievo. E adesso qualcuno venga a dirlo che non crede alla sorte. Alla fine Neymar va avanti e Sanchez torna a casa. Per il Cile, «cagnaccio» bravissimo ad azzannare il polpaccio del Brasile e a non mollarlo mai, è un triste destino che si ripete: quattro ko su quattro contro i ‘cugini’ sudamericani nella lunga storia dei Mondiali. Però non è tutto (verde)oro quel che luccica, nel senso che la squadra di casa - che deve innalzare un altarino a Julio Cesar - conferma di avere problemi piuttosto seri, calcisticamente parlando. Tant’è che dopo un primo tempo abbastanza positivo (ma che errore commette Hulk sul pareggio del Nino Maravilla) si spegne lentamente, facendosi intrappolare nella ragnatela del Cile fatta di tattica (ok il 5-3-2) e tanto sudore, zero prime donne e molti buoni combattenti. Così il vero protagonista della giornata diventa, appunto, il ‘vecchio’ Julio Cesar, uno che a 35 anni suonati e con una bacheca strapiena di vittorie, s’è dovuto riciclare in Canada (al Toronto) dopo una stagione da dimenticare con gli inglesi del Qpr. «Pensate, mi allenavo al parco», ha raccontato l’ex interista fra le lacrime a fine match.
I suoi meriti? Avere tenuto in piedi il Brasile al 60’ su Aranguiz con un intervento prodigioso e poi, nell’ultimo atto del match, avere annullato i rigori di Pinilla e Sanchez. E Neymar? E’ durato 45 minuti (ed ha avuto due belle occasioni da rete), poi si è eclissato, a parte il rigore finale realizzato con freddeza. Ma il problema davvero non è lui. Anche se una vittoria così. alla fine, è come se azzerasse tutto.
David Bruschi