Paolo Franci
Roma
CHISSÀ

se al suo nuovo presidente, Unal Aysal, numero uno del Galatasaray, ha chiesto di far tradurre dall’interprete il codice etico. E chissà se anche in Turchia farà riferimenti ad effetto su partiti e patria. E ancora, chissà se, hai visto mai le cose dovessero andar male, scaricherà Snejider e Felipe Melo come ha fatto con Balotelli. Interrogativi e dubbi sul ct meno amato della recente storia azzurra, che nel giro di nove giorni, dal naufragio con l’Uruguay al rapido evolversi dell’affare turco ha raggiunto l’accordo — incontro a Firenze, contratto da 4,5 milioni per tre anni più 500mila euro se vince lo scudetto e altrettanto se centra i quarti di Champions — con il Galatasaray. Otto giorni appena. Una giostra che è girata velocissima, troppo per far sì che non si formasse, spontaneo, un altro partito anti Cesare, tanto per restare su paragoni a lui cari.
SUI SOCIAL network, nei salotti televisivi, nei bar, il partito s’è ingrossato a dismisura: tutto troppo rapido per non essere sospetto. «Ha firmato 216 ore dopo il crac con l’Uruguay, tutto molto etico...», rimbalza acido su Twitter. «Aveva già l’accordo in tasca». Sospetti che assumono le forme di una certezza per il popolo dei tifosi internauti. Contro corrente, nuota a fatica il suo nuovo presidente che difende l’uomo, il tecnico e la scelta: «Prandelli riunisce in sé tutte le caratteristiche che vogliamo e da lunedì sarà alla guida della squadra — ha scritto Aysal su Twitter — Può vincere il titolo in modo rilassato», magari con Eto’o, che pare vicinissimo. Il Galatasaray era senza allenatore dallo scorso 11 giugno, quando fu ufficializzato l’addio di Roberto Mancini. E il vulcanico Aysal, decisionista convinto e a volte frettoloso, ha aspettato oltre 20 giorni per individuarne l’erede?
Nel partito d’opposizione la convinzione che il feeling con il calcio turco sia nato già prima del Mondiale — paracadute nel caso le cose fossero andate male, come poi è accaduto — è una corrente impetuosa che spazza via dubbi e tentennamenti. Vero, Prandelli s’è preso un paio di giorni di riflessione. I più maligni insinuano l’ennesima mossa tattica, giusto per dare in pasto il tentennamento all’opinione pubblica, ma nessuno ha dubbi sul fatto che Prandelli sarà, come dice il suo presidente «al lavoro da lunedì prossimo». Lui, Cesare, che s’era posto l’obiettivo di riportare la gente vicino alla nazionale. A modo suo c’è riuscito, certo non nel senso che immaginava. Nulla è piaciuto dell’ultimo Prandelli, neanche l’addio, con il ct che si siede dopo l’eliminazione e, invece di parlare dei motivi del naufragio attacca, permaloso, dimettendosi e parlando di se stesso e delle critiche al suo ricco rinnovo di contratto.
«IO NON HO mai rubato soldi, si sa che la Figc non prende solo contributi pubblici: pago le tasse e non rubo...». Lui al centro del mondo dunque, che saluta e se ne va parlando prima di Cesare. Ancor prima di quella «patria» da lui chiamata in causa che, pochi minuti dopo il suo sfogo, toglierà le bandiere tricolore da finestre e terrazzi.