Andrea Zanchi
BOLOGNA
FORSE,

quattro anni fa, avrebbe davvero fatto meglio a seguire il suo istinto e declinare la proposta di correre per il terzo mandato alla guida dell’Emilia Romagna. Ma il Pd chiamava, forte e senza sosta. E lui, che per abitudine e tradizione, al partito non ha mai saputo dire di no, alla fine decise di accettare. Fece la campagna elettorale e, ovviamente, vinse. Tornando, in apparenza solido e inaffondabile come sempre, a guidare la ‘sua’ Regione.
D’altronde nella storia di Vasco Errani — 59 anni, ravennate di Massa Lombarda, presidente dal 3 marzo 1999 fino a ieri pomeriggio, quindici anni consecutivi, insomma — l’Emilia Romagna, come istituzione e come territorio, ha sempre rappresentato tutto. Prima consigliere comunale a Ravenna dal 1983 al 1995 (Pci, poi Pds), poi come uomo dell’istituzione di viale Aldo Moro, dove mosse i primi passi con il ruolo di dirigente della giunta nel 1993: tempo quattro anni e fu nominato assessore al turismo, tempo sei e si prese tutto. Presidente al posto del dimissionario Antonio La Forgia. L’anno dopo, nel 2000, la prima prova elettorale e il primo successo. La sua epoca era appena iniziata. Un’era, e un’esperienza politica e personale, che negli anni Novanta si incontra, per non lasciarsi più, a quella di Pier Luigi Bersani, che in quel periodo lascia la via Emilia per fare il ministro con Prodi. E che di Errani non si dimenticherà mai. Quasi venti anni dopo, nell’inverno 2013, quando sembra a un passo da Palazzo Chigi, Bersani dice pubblicamente di volerselo portare con sé a Roma. Uno così vuoi non averlo nella squadra di governo?

LE URNE,


però, restituiscono una realtà diversa. Il sogno di fare il ministro sfuma, ma Errani resta pur sempre uno dei pochi fedelissimi del mancato premier. E per un mese e mezzo, fino alla drammatica rielezione di Napolitano, non abbandona quasi mai la Capitale, partecipando a tutti gli incontri politici più importanti. Poi torna nella sua Emilia-Romagna, fiaccata dalla crisi economica, dagli scandali dei rimborsi spese che si abbattono sul consiglio regionale e, dal maggio 2012, anche dal terremoto. Una sfida troppo grande. Anche per uno come Errani, dice qualcuno. Ma lui scende in prima linea come se niente fosse, va a Roma a trovare i soldi per la ricostruzione, gira la regione per parlare con i sindaci e avvia la ripresa dopo il grande incubo delle scosse.
Che qualcosa, in casa sua, sia cambiato in modo irreversibile è però evidente. Il terzo mandato è un calvario, tra il suo processo per Terremerse e le indagini che riguardano il consiglio, tirando dentro anche il Pd. Politicamente, poi, la discesa continua. Nelle primarie di dicembre 2013 Renzi — che pure con lui mantiene un ottimo rapporto — si prende il Pd anche nell’ortodossa Emilia -Romagna. È il segnale: la corsa per succedergli in Regione è ufficialmente aperta. La sentenza di ieri, e il suo addio alla presidenza, non fanno altro che accelerarla. L’Emilia-Romagna, dopo il modello emiliano, si ritrova orfana anche di quello erraniano.