Francesco Ghidetti
ROMA
«LASCIAMO

perdere. Il tempo è sempre galantuomo». Antonio Misiani, bergamasco, classe 1968, già tesoriere del Pd ‘ai tempi’ di Pier Luigi Bersani e poi di Guglielmo Epifani, sorride. Polemica con il nuovo corso renziano? «E perché mai? Il Pd è il mio partito. Ha vinto le elezioni. Ha 11 e passa milioni di voti. Ha il leader più popolare d’Italia...».
Beh, non vorrà negare il rosso di quasi undici milioni...
«Per niente. Ma il 2013 è stato durissimo per tutti: Forza Italia ha chiuso in disavanzo di quasi 16 milioni, il Pdl 14 milioni e mezzo, la Lega oltre 14 milioni. Tra il 2012 e il 2013, senza proclami, abbiamo tagliato i costi di struttura del Pd del 40%, riducendoli di 15 milioni. Ora con l’abolizione del finanziamento pubblico andrà fatto uno sforzo ulteriore».


L’accusa: avete, voi del ‘vecchio’ Pd, un apparato elefantiaco.
«Nel 2007, anno di fondazione dei democratici, Ds e Margherita avevano 330 funzionari. Nel 2013, segreterie Bersani e Epifani, erano 194 unità. Un 40% in meno, dunque. Di questi, un quarto sono stati ricollocati all’esterno. E quindi non incidono sui conti del partito. Per farla breve: oggi il Pd, primo partito italiano, ha meno personale dell’Associazione artigiani di Bergamo».
L’apparato è ancora necessario?
«Sì, anche se in misura diversa dal passato. Pensare a un partito senza una struttura organizzata è demagogia. Il volontariato va bene, è il sale della militanza, però non basta».
Ora chiude «l’Unità»...
«Questo lo dice lei. Io ho fiducia».
In cosa? La sinistra ha visto la fine progressiva di tutti i suoi giornali: da Paese Sera all’Avanti! a Rinascita a Liberazione...
«La storia della sinistra un po’ la conosco anch’io. Sono stati fatti errori, ma l’Unità è un patrimonio da rilanciare. È evidente che taglio dei finanziamenti pubblici e crisi del mercato editoriale hanno influito. Ma il giornale fondato da Gramsci nel 1924 lo si può salvare. Del resto, Renzi si è impegnato pubblicamente a trovare una soluzione, no?».
Berlusconi si è stufato di cacciare soldi per Forza Italia...
«Il Cavaliere nel solo 2013 ha staccato un assegno di 15 milioni. Noi abbiamo chiesto e ottenuto che nella nuova legge ci fosse un tetto alle donazioni di un singolo privato. Non si poteva andare avanti lasciando i partiti nelle mani del miliardario di turno. Bisogna regolamentare le lobbies».
Ma fare come in Germania dove le fondazioni gestiscono di fatto la vita economica dei partiti no, eh?
«Il sistema tedesco funziona bene. Prevede ingenti contributi pubblici nonché fondi da donatori privati. Tutto molto trasparente e controllato».
E allora qual è il problema?
«Nessun problema. Semplicemente in Italia si è scelto un modello diverso, senza finanziamento pubblico diretto. È questa decisione va rispettata».
Intanto i gruppi parlamentari di Montecitorio si beccano 32 milioni di contributi...
«E non è uno scandalo. Basta un semplice raffronto con quanto accade nelle altre democrazie europee. L’importante è che vengano usati in modo trasparente».
Il nuovo tesoriere non è tenero con la sua gestione.
«Lasciamo perdere. Il tempo è sempre galantuomo».
Lei è un duro.
«No. È che per fare il tesoriere ci vuole tanto amore per il proprio partito ma anche un fisico... come dire?».
Come dire?
«Ecco, sì: bestiale».