Luca Zorloni
MILANO
«STRIKE

the iron while is hot». Papale papale, «batti il ferro finché è caldo». E «il ferro è caldo», riconosce il segretario di Stato americano, John Kerry, che ieri da Washington ha salutato la posa della prima pietra del padiglione degli Stati Uniti nel sito dell’Expo di Milano. C’è interesse a dire la propria sulle sfide dell’alimentazione, chiaro, ma Kerry si è soffermato soprattutto sul capitolo business, ricordando come Milano sia «nota come il motore economico d’Italia, cuore pulsante della cultura e dell’economia non solo per l’Italia ma per l’Europa, è il luogo ideale per questa Expo». E l’Expo a sua volta è il luogo ideale dove far dialogare le economie di Usa, Italia ed Europa. Non che tutto si risolva con un padiglione. Sul tavolo di Washington e Bruxelles è ancora fermo il Ttip, il trattato transatlantico sul libero scambio tra Usa e Ue, e su alcune voci — vedi agricoltura, energia e servizi finanziari — i due continenti sono ancora su posizioni distanti. Tanto che Simone Crolla, ad della Camera di commercio americana in Italia e responsabile del padiglione Usa all’Expo, auspica che nel semestre di presidenza della Ue, «l’Italia possa raccogliere un primo accordo sui punti in comune». Da oggi iniziano i lavori di un cantiere da 45 milioni di dollari, tutti da sponsor privati. Cinque li ha già assicurati il colosso General Electric. E alla cordata si sono uniti giganti come Uvet, Du Pont, Mc Kinsey e, unica azienda non americana, Illy. «American food 2.0» è il tema del padiglione a stelle e strisce. Parola d’ordine: innovazione. «È nel nostro dna», ha detto Kerry, ricordando come tra i padri della patria americani ci sia lo scienziato Benjamin Franklin.

CON GLI USA

«per 19 Paesi è finita la fase preparatoria e si accingono a completare il loro padiglione», ha spiegato ieri il commissario unico per Expo, Giuseppe Sala. Tra questi, ad esempio, Germania e Giappone. Il manager ieri ha incontrato il numero uno dell’Authority anticorruzione Raffaele Cantone e ha fatto il punto sui lavori. «Cantone ha parlato dell’affidamento del Cardo (uno degli assi centrali del sito, ndr) — ha spiegato Sala —. Ha discusso delle modalità con cui dovrà essere fatta la gara per l’affidamento».
Sala ha aggiunto che le architetture di servizio «per la parte in muratura fatta da Mantovani sono realizzate al 90 per cento, mentre per quanto riguarda il lavoro della Maltauro, arredi, bagni, legno, finiture, siamo al 10 per cento». Complessivamente, per i lavori sulla piastra «siamo al 60 per cento, con la certezza dei Paesi di potere in tre, quattro mesi montare i padiglioni». Per il commissario «il grosso della piastra è fatto. Mi spingo a dire che sono assolutamente certo che arriveremo in tempo. Dovremo poi misurarci con la criticità dell’arrivo di molti Paesi da agosto».