Marinella Rossi
MILANO
QUATTRO

udienze e dodici secondi per un’assoluzione. È un processo a Silvio Berlusconi? Chi mai lo direbbe. In meno di un mese e in dodici secondi di verdetto si azzera la condanna per concussione (sulla questura di Milano) e per prostituzione minorile (di Ruby). Berlusconi, da premier, non costrinse e non minacciò per ottenere il rilascio della marocchina da via Fatebenefratelli. Al più, chiese e ottenne un favore. E Berlusconi, che abbia o non abbia avuto con lei rapporti sessuali, non sapeva fosse minorenne. Sintesi brutale di un verdetto ribaltato.

«IN RIFORMA

della sentenza del 24 giugno 2013» — e già nell’aula corre un fremito fra gli avvocati, alla prima parola del presidente della seconda Corte d’appello Enrico Tranfa — «assolve l’imputato — dalla concussione — «perché il fatto non sussiste», e dalla prostituzione minorile «perché il fatto non costituisce reato». Silenzio sorpreso, sommesso crescendo di soddisfazione, qualche applauso dalla piccola ma stipata zona del pubblico, abbracci nell’aula della verifica d’appello. Il professor Franco Coppi sorride, il professor Filippo Dinacci si stringe le mani, loro la difesa che volta pagina, dal filibustering e dai rinvii estenuanti, agli argomenti, tecnici e sostanziali, spesi nel processo. Dal bianco al nero, o viceversa. È il contrario della sentenza di condanna a 7 anni (6 per concussione e 1 per prostituzione) di un anno fa, emessa dal presidente Giulia Turri a compimento dell’inchiesta avviata a fine 2010. In primo grado Berlusconi era il «regista del bunga bunga», l’«ideatore di un sistema prostitutivo» che includeva una minorenne; sistema che aveva cercato di coprire mettendo in atto una pressione coercitiva sulla questura di Milano — notte fra il 27 e il 28 maggio 2010 — perché la marocchina Karima El Mahroug, fatta passare come nipote del presidente egiziano Mubarak, venisse prontamente rilasciata, come fu, e non lo inguaiasse, come non fu.
Ora la sentenza d’appello dice che le due telefonate alla questura da parte dell’allora premier, la notte del fermo di Ruby, non sono qualificabili come concussione per costrizione, con la conseguenza di un male grave e ingiusto ai danni del capo di gabinetto Piero Ostuni che ricevette la richiesta dell’ex Cav. Così, perlomeno, stando a come la Corte di Cassazione motiva il reato dopo la modifica e scissione (avvenuta nel corso del primo dibattimento) della norma, tra costrizione (articolo 317) e induzione (319 quater). E anche la qualificazione meno grave, induzione indebita, pare persino più lontana dal caso, visto che Ostuni, sia pur pervaso da timore reverenziale verso l’autorità del presidente del Consiglio, non avrebbe, nell’aderire alla richiesta, conseguito alcun vantaggio. C’è poi il nodo prostituzione minorile che non costituisce reato, là dove non pare sia raggiunta la prova che Berlusconi sapesse della minore età della ragazza.
Il sostituto pg, Piero de Petris, che aveva ribadito la richiesta di condanna a sette anni, si appellerà contro la sentenza? La sua risposta è rinviata a dopo la lettura delle motivazioni (fra 90 giorni). Non rinvia, invece, l’avvocato Coppi, che per il suo ‘nemico’ in aula ha parole di ammirazione («il pg ha difeso con grande intelligenza la sua posizione, ma era una sentenza disancorata da prove»). Dunque ha vinto chi stava in panchina? Il riferimento, ancora sotto l’effetto mondiali, va ai difensori storici, Niccolò Ghedini e Piero Longo, a questa partita assenti. Coppi serra le labbra a cuore come chi cerca di trattenere qualcosa di intrattenibile. E non trattiene: «Io non ho mai visto Maradona in panchina».