Marinella Rossi
MILANO
A TARANTO

il disastro ambientale procurato dall’Ilva, a Milano i magheggi finanziari su contributi indebitamente percepiti dallo Stato. E sui magheggi, e dopo un mandato d’arresto che lo mette in libertà vigilata a Londra (ordine di carcerazione sia di Taranto che di Milano in gennaio), a Milano viene condannato Fabio Riva.
Ex vicepresidente del gruppo “Riva fire”, figlio del patron Emilio (deceduto da poco tempo), Fabio è stato ieri condannato dalla terza sezione penale del tribunale a 6 anni e 6 mesi di reclusione - e interdetto a vita dai pubblici uffici - per associazione per delinquere e una truffa da 100 milioni di euro.
L’accusa che si ritiene in primo grado dimostrata, e con pene superiori alle richieste dei pubblici ministeri Stefano Civardi e Mauro Clerici, indica in Fabio il

dominus e percettore di contributi finalizzati all’export, ma ricevuti senza diritto, dalla società siderurgica ed erogati della Simest (controllata dalla Cassa depositi e prestiti).
ACCANTO a Riva, sono stati condannati, a 5 anni, Alfredo Lomonaco, amministratore della finanziaria elvetica Eufintrade sa, e a 3 anni l’ex dirigente di Ilva sa (società svizzera del gruppo Riva), Agostino Alberti. La stessa Riva Fire, in base alla legge 231 sulla responsabilità penale delle persone giuridiche (in relazione ad alcuni reati contro la pubblica amministrazione), è condannata a una multa da un milione e mezzo di euro. A carico sia dei tre imputati che della stessa società è stata disposta la confisca di 90,8 milioni. Tutti loro, in solido, parteciperanno al pagamento di una provvisionale, immediatamente esecutiva, di 15 milioni a favore del Ministero dello Sviluppo economico. Riva fire, poi, non potrà ricevere per un anno sussidi, finanziamenti e agevolazioni dallo Stato, e i contributi già deliberati da parte di Simest al gruppo, che dovrà rimborsare quelli percepiti, dovranno essere sospesi. L’inchiesta, diretta dal pool reati finanziari dell’aggiunto Francesco Greco (le richieste di pena si erano assestate, per Riva e Lo Monaco, sui 5 anni e 4 mesi, per Alberti, su 3 anni e 4 mesi) emerge nel maggio 2013 con un sequestro di 1,2 miliardi (poi saliti a 1,9) e le accuse di truffa ai danni dello Stato e di intestazione fittizia di beni: una forma di appropriazione indebita ai danni della stessa Riva Fire.
Ma l’inchiesta va oltre e individua il meccanismo messo in atto per sfruttare i contributi all’esportazione, previsti dalla legge Ossola - denaro pubblico erogato dalla Simest - a favore delle società italiane che esportano e che devono fronteggiare forti dilazioni di pagamento da parte dei clienti esteri.
L’ILVA di Taranto non avrebbe però i requisiti, in quanto tratta principalmente con Stati esteri e con grandi aziende che pagano, o alla consegna, o al massimo con scadenza di 90 giorni. E allora un apparato di società svizzere viene dedicato a interporsi tra Ilva e committenti, per creare un artificioso dilazionamento dei pagamenti. Tale da consentire l’accesso ai contributi statali, quantificati in 100 milioni.